Epitaffi d’autore, Jasse James.

Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato Epitaffi d’Autore, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere.
Perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
Il bandito che divenne leggenda
Jesse James nasce nel Missouri nel 1847 e cresce in un’America divisa dalla guerra civile.
Durante il conflitto combatte tra i guerriglieri confederati, ma il suo nome entra nella storia solo dopo, quando trasforma il crimine in leggenda.
Rapine a banche e treni, fughe spettacolari, una fama da “Robin Hood del West” che lo accompagna in tutto il Paese.
In realtà, James non redistribuisce ai poveri: è un uomo feroce, vendicativo, eppure carismatico.
Muore il 3 aprile 1882, tradito da un compagno della sua banda, Robert Ford, che lo uccide alle spalle mentre aggiusta un quadro nella sua casa di St. Joseph.
Aveva solo 34 anni.
L’epitaffio
“Murdered by a traitor and coward whose name is not worthy to appear here.”
«Ucciso da un traditore e codardo il cui nome non è degno di apparire qui.»
L’ultima parola del fuorilegge
Nella pietra incisa sulla tomba di Jesse James, a Kearney, Missouri, non c’è spazio per il pentimento.
L’epitaffio è una condanna secca, quasi un urlo oltre la morte.
Il traditore non merita nemmeno di essere nominato.
La vendetta, negata in vita, si compie nella memoria: Jesse James sceglie di restare l’eroe ferito dall’inganno, non il criminale.
Il tono è drammatico, teatrale, perfettamente coerente con l’uomo che fu.
Non chiede perdono né giustizia, ma rivendica il diritto alla leggenda.
In quella frase, incisa dalla madre, si riconosce un’eco familiare: la difesa di un figlio che il mondo aveva trasformato in mito e mostro allo stesso tempo.

A sinistra, la stele in pietra dietro la Jesse James Home Museum che segna la prima sepoltura del fuorilegge.
A destra, l’attuale tomba di Jesse James nel cimitero, a un miglio dalla casa.
Tra mito e memoria
Da oltre un secolo, l’epitaffio di Jesse James è parte integrante della sua narrazione.
C’è chi lo legge come un simbolo d’onore tradito, chi come un gesto di orgoglio estremo.
Nel tempo, la sua figura ha ispirato romanzi, film e canzoni, da Hollywood al folk americano.
Ma è quella frase, scolpita nel marmo, a mantenere viva la leggenda.
In poche parole, Jesse James resta fedele al suo ruolo: l’uomo che non si arrende, neppure davanti alla morte.
Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato Epitaffi d’Autore, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere.
Perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
Il bandito che divenne leggenda
Jesse James nasce nel Missouri nel 1847 e cresce in un’America divisa dalla guerra civile.
Durante il conflitto combatte tra i guerriglieri confederati, ma il suo nome entra nella storia solo dopo, quando trasforma il crimine in leggenda.
Rapine a banche e treni, fughe spettacolari, una fama da “Robin Hood del West” che lo accompagna in tutto il Paese.
In realtà, James non redistribuisce ai poveri: è un uomo feroce, vendicativo, eppure carismatico.
Muore il 3 aprile 1882, tradito da un compagno della sua banda, Robert Ford, che lo uccide alle spalle mentre aggiusta un quadro nella sua casa di St. Joseph.
Aveva solo 34 anni.
L’epitaffio
“Murdered by a traitor and coward whose name is not worthy to appear here.”
«Ucciso da un traditore e codardo il cui nome non è degno di apparire qui.»
L’ultima parola del fuorilegge
Nella pietra incisa sulla tomba di Jesse James, a Kearney, Missouri, non c’è spazio per il pentimento.
L’epitaffio è una condanna secca, quasi un urlo oltre la morte.
Il traditore non merita nemmeno di essere nominato.
La vendetta, negata in vita, si compie nella memoria: Jesse James sceglie di restare l’eroe ferito dall’inganno, non il criminale.
Il tono è drammatico, teatrale, perfettamente coerente con l’uomo che fu.
Non chiede perdono né giustizia, ma rivendica il diritto alla leggenda.
In quella frase, incisa dalla madre, si riconosce un’eco familiare: la difesa di un figlio che il mondo aveva trasformato in mito e mostro allo stesso tempo.

A sinistra, la stele in pietra dietro la Jesse James Home Museum che segna la prima sepoltura del fuorilegge.
A destra, l’attuale tomba di Jesse James nel cimitero, a un miglio dalla casa.
Tra mito e memoria
Da oltre un secolo, l’epitaffio di Jesse James è parte integrante della sua narrazione.
C’è chi lo legge come un simbolo d’onore tradito, chi come un gesto di orgoglio estremo.
Nel tempo, la sua figura ha ispirato romanzi, film e canzoni, da Hollywood al folk americano.
Ma è quella frase, scolpita nel marmo, a mantenere viva la leggenda.
In poche parole, Jesse James resta fedele al suo ruolo: l’uomo che non si arrende, neppure davanti alla morte.


















































































