29 novembre 2010. Muore il regista Mario Monicelli.

Le origini di un autore controcorrente
Mario Monicelli nasce a Viareggio nel 1915, in una famiglia immersa nella cultura.
Il padre è giornalista e scrittore, e quel contatto precoce con la parola scritta gli apre la strada verso la sceneggiatura prima ancora della regia.
Il cinema entra nella sua vita come una possibilità concreta quando, poco più che ventenne, realizza un cortometraggio che gli vale un premio a Venezia: un riconoscimento che gli indica con forza la direzione futura.
La costruzione di uno stile unico
Negli anni Quaranta e Cinquanta Monicelli attraversa generi diversi, ma trova la propria identità quando comincia a lavorare alla commedia.
Il suo modo di raccontare l’Italia nasce dall’osservazione attenta e dalla volontà di non addolcire la realtà: anche quando fa ridere, lo fa con una lama sottile.
Con “I soliti ignoti” del 1958, il suo linguaggio si definisce in modo definitivo.
Il film mescola umorismo, amarezza e un’attenzione quasi antropologica ai personaggi, aprendo la stagione della commedia all’italiana.
Seguono titoli che entrano nella memoria collettiva: “La grande guerra”, “L’armata Brancaleone”, “Amici miei”, “Un borghese piccolo piccolo”.
Ogni opera porta la sua firma inconfondibile: l’ironia come strumento per svelare contraddizioni sociali, la coralità come specchio del Paese, il gusto per l’imprevisto che smonta le certezze.
Un intellettuale fuori dagli schemi
Oltre ai film, Monicelli partecipa alla vita culturale con interventi pubblici, prese di posizione e un’attenzione costante ai cambiamenti del Paese.
Non cerca mai il ruolo del “maestro”, ma la sua lucidità lo rende un punto di riferimento.
La sua voce rimane una delle più schiette del cinema italiano del Novecento, capace di attraversare decenni senza perdere incisività.
Morte e funerali di Mario Monicelli
Il 29 novembre 2010, ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma, Monicelli decide di togliersi la vita.
La notizia scuote il mondo del cinema e l’opinione pubblica, perché il suo gesto viene percepito come un ultimo atto di libertà, coerente con la sua visione esistenziale.
I funerali civili si svolgono a Roma, accompagnati dall’affetto di colleghi, attori, amici e cittadini.
L’immagine che resta è quella di un autore che non smette di interrogarci, capace di raccontare l’Italia con uno sguardo ironico, affilato e irripetibile.
Le origini di un autore controcorrente
Mario Monicelli nasce a Viareggio nel 1915, in una famiglia immersa nella cultura.
Il padre è giornalista e scrittore, e quel contatto precoce con la parola scritta gli apre la strada verso la sceneggiatura prima ancora della regia.
Il cinema entra nella sua vita come una possibilità concreta quando, poco più che ventenne, realizza un cortometraggio che gli vale un premio a Venezia: un riconoscimento che gli indica con forza la direzione futura.
La costruzione di uno stile unico
Negli anni Quaranta e Cinquanta Monicelli attraversa generi diversi, ma trova la propria identità quando comincia a lavorare alla commedia.
Il suo modo di raccontare l’Italia nasce dall’osservazione attenta e dalla volontà di non addolcire la realtà: anche quando fa ridere, lo fa con una lama sottile.
Con “I soliti ignoti” del 1958, il suo linguaggio si definisce in modo definitivo.
Il film mescola umorismo, amarezza e un’attenzione quasi antropologica ai personaggi, aprendo la stagione della commedia all’italiana.
Seguono titoli che entrano nella memoria collettiva: “La grande guerra”, “L’armata Brancaleone”, “Amici miei”, “Un borghese piccolo piccolo”.
Ogni opera porta la sua firma inconfondibile: l’ironia come strumento per svelare contraddizioni sociali, la coralità come specchio del Paese, il gusto per l’imprevisto che smonta le certezze.
Un intellettuale fuori dagli schemi
Oltre ai film, Monicelli partecipa alla vita culturale con interventi pubblici, prese di posizione e un’attenzione costante ai cambiamenti del Paese.
Non cerca mai il ruolo del “maestro”, ma la sua lucidità lo rende un punto di riferimento.
La sua voce rimane una delle più schiette del cinema italiano del Novecento, capace di attraversare decenni senza perdere incisività.
Morte e funerali di Mario Monicelli
Il 29 novembre 2010, ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma, Monicelli decide di togliersi la vita.
La notizia scuote il mondo del cinema e l’opinione pubblica, perché il suo gesto viene percepito come un ultimo atto di libertà, coerente con la sua visione esistenziale.
I funerali civili si svolgono a Roma, accompagnati dall’affetto di colleghi, attori, amici e cittadini.
L’immagine che resta è quella di un autore che non smette di interrogarci, capace di raccontare l’Italia con uno sguardo ironico, affilato e irripetibile.


















































































