Un cimitero senza croci e senza nomi nel violento cuore del Gargano.
Un cimitero senza croci e senza nomi nel violento cuore del Gargano.
Senza lapidi, senza croci, ma anche senza un nome. È il cimitero delle grave del Gargano, le profonde cavità del terreno carsico del promontorio utilizzate da secoli come contenitori di rifiuti e di carcasse di animali e, da almeno una trentina di anni, anche come cimitero delle vittime della lupara bianca, l’antico rituale utilizzato dalla mafia per eliminare i rivali scomodi. Uomini, ragazzi, uccisi e poi gettati in una delle tante fenditure affinché quei nomi e quei volti siano inghiottiti dalla terra e siano dimenticati. Per sempre. Ma non per le madri, le mogli di quelle vittime che, anche dopo trent’anni, invocano non solo giustizia, ma anche una lapide su cui piangere.
Senza lapidi, senza croci, ma anche senza un nome. È il cimitero delle grave del Gargano, le profonde cavità del terreno carsico del promontorio utilizzate da secoli come contenitori di rifiuti e di carcasse di animali e, da almeno una trentina di anni, anche come cimitero delle vittime della lupara bianca, l’antico rituale utilizzato dalla mafia per eliminare i rivali scomodi. Uomini, ragazzi, uccisi e poi gettati in una delle tante fenditure affinché quei nomi e quei volti siano inghiottiti dalla terra e siano dimenticati. Per sempre. Ma non per le madri, le mogli di quelle vittime che, anche dopo trent’anni, invocano non solo giustizia, ma anche una lapide su cui piangere.