1° giugno 1970. Muore Giuseppe Ungaretti, il poeta che scava nell’anima del Novecento.

Giuseppe Ungaretti nasce il 10 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto, in una comunità italiana immersa tra le sabbie e il Mediterraneo.
Fin da piccolo vive l’esperienza del confine e dell’altrove, elementi che segneranno la sua poesia per sempre.
Studia a Parigi, dove respira l’aria delle avanguardie, ma la sua vita cambia profondamente con lo scoppio della Prima guerra mondiale.
Combatte sul Carso, in trincea, dove ogni attimo si fa eterno e ogni parola si carica di silenzio e significato.
Lì nasce il suo primo libro, “Il porto sepolto”, frammenti brevi, essenziali, affilati come lame che raccontano l’orrore, la fragilità, la nostalgia della vita.
Giuseppe Ungaretti, la voce interiore dell’Italia del Novecento
Dopo la guerra, Ungaretti continua a scrivere, viaggiare, insegnare.
Resta profondamente legato all’esperienza bellica, ma la sua poetica evolve.
Negli anni Trenta si avvicina al fascismo, aderendo inizialmente con entusiasmo.
È un’adesione che, col tempo, si ridimensiona, soprattutto dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.
Nel frattempo, la sua scrittura si arricchisce di nuove tensioni: dal dolore privato alla riflessione sulla condizione umana, fino al senso del sacro e dell’invisibile.
Nel secondo dopoguerra, Ungaretti diventa una delle voci più amate della letteratura italiana.
La sua poesia entra nei programmi scolastici, la sua figura appare come simbolo vivente della memoria e della parola.
Diventa accademico d’Italia e insegna letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma.
Il suo linguaggio rimane inconfondibile: scarno, intenso, capace di racchiudere l’infinito in pochi versi.
La morte e l’ultimo viaggio del poeta
Giuseppe Ungaretti muore il 1° giugno 1970 a Milano.
Aveva 82 anni.
Riposa nella tomba di famiglia nel Cimitero del Verano, a Roma.
La sua scomparsa rappresenta la fine di un’epoca, ma anche la consacrazione definitiva di una voce che ha saputo attraversare il secolo con profondità e umanità.
Nei suoi versi più celebri si sente ancora oggi il suono della sua voce: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.”
Giuseppe Ungaretti nasce il 10 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto, in una comunità italiana immersa tra le sabbie e il Mediterraneo.
Fin da piccolo vive l’esperienza del confine e dell’altrove, elementi che segneranno la sua poesia per sempre.
Studia a Parigi, dove respira l’aria delle avanguardie, ma la sua vita cambia profondamente con lo scoppio della Prima guerra mondiale.
Combatte sul Carso, in trincea, dove ogni attimo si fa eterno e ogni parola si carica di silenzio e significato.
Lì nasce il suo primo libro, “Il porto sepolto”, frammenti brevi, essenziali, affilati come lame che raccontano l’orrore, la fragilità, la nostalgia della vita.
Giuseppe Ungaretti, la voce interiore dell’Italia del Novecento
Dopo la guerra, Ungaretti continua a scrivere, viaggiare, insegnare.
Resta profondamente legato all’esperienza bellica, ma la sua poetica evolve.
Negli anni Trenta si avvicina al fascismo, aderendo inizialmente con entusiasmo.
È un’adesione che, col tempo, si ridimensiona, soprattutto dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.
Nel frattempo, la sua scrittura si arricchisce di nuove tensioni: dal dolore privato alla riflessione sulla condizione umana, fino al senso del sacro e dell’invisibile.
Nel secondo dopoguerra, Ungaretti diventa una delle voci più amate della letteratura italiana.
La sua poesia entra nei programmi scolastici, la sua figura appare come simbolo vivente della memoria e della parola.
Diventa accademico d’Italia e insegna letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma.
Il suo linguaggio rimane inconfondibile: scarno, intenso, capace di racchiudere l’infinito in pochi versi.
La morte e l’ultimo viaggio del poeta
Giuseppe Ungaretti muore il 1° giugno 1970 a Milano.
Aveva 82 anni.
Riposa nella tomba di famiglia nel Cimitero del Verano, a Roma.
La sua scomparsa rappresenta la fine di un’epoca, ma anche la consacrazione definitiva di una voce che ha saputo attraversare il secolo con profondità e umanità.
Nei suoi versi più celebri si sente ancora oggi il suono della sua voce: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.”


















































































