11 luglio 1593. Muore Giuseppe Arcimboldo, il pittore che trasforma la natura in volto umano.

Nel cuore del Cinquecento, mentre l’arte cerca equilibrio, prospettiva e misura, Giuseppe Arcimboldo decide di seguire un’altra strada.
Nato a Milano nel 1526 in una famiglia di artisti, cresce circondato dai disegni delle vetrate del Duomo e dai fasti della corte sforzesca.
Sin da giovane lavora con il padre per la cattedrale, ma il suo talento lo porta presto lontano.
A Praga, la sua arte trova la sua forma definitiva.
Alla corte degli Asburgo diventa pittore ufficiale di Massimiliano II e, in seguito, di Rodolfo II.
In questo ambiente colto e visionario, dove si esplorano le scienze naturali, l’alchimia e il collezionismo, Arcimboldo sviluppa un linguaggio pittorico unico.
I volti composti di frutti, fiori e animali
I suoi ritratti più celebri non somigliano a nessun altro: volti umani composti da elementi della natura come ortaggi, fiori, pesci e uccelli, oltre a libri e utensili.
Con opere come Le quattro stagioni e I quattro elementi crea complesse allegorie che mescolano ironia e cultura.
C’è ordine nella sua apparente follia: ogni oggetto è scelto con attenzione e ogni accostamento ha un significato simbolico.
L’arte di Giuseppe Arcimboldo affascina e sorprende; non è un semplice capriccio ma uno studio sulla natura, una riflessione sul tempo e un ponte tra scienza e immaginazione.
Il suo stile, spesso frainteso nei secoli successivi, viene riscoperto solo nel Novecento quando i surrealisti lo riconoscono come precursore della loro poetica.
La morte a Milano e il ritorno al silenzio
Nel 1587 Arcimboldo lascia la corte imperiale e torna a Milano, continua a dipingere e a progettare, ormai considerato un maestro.
Muore l’11 luglio 1593 nella sua città natale, il luogo della sepoltura resta incerto, ma la sua eredità resta viva.
Nel cuore del Cinquecento, mentre l’arte cerca equilibrio, prospettiva e misura, Giuseppe Arcimboldo decide di seguire un’altra strada.
Nato a Milano nel 1526 in una famiglia di artisti, cresce circondato dai disegni delle vetrate del Duomo e dai fasti della corte sforzesca.
Sin da giovane lavora con il padre per la cattedrale, ma il suo talento lo porta presto lontano.
A Praga, la sua arte trova la sua forma definitiva.
Alla corte degli Asburgo diventa pittore ufficiale di Massimiliano II e, in seguito, di Rodolfo II.
In questo ambiente colto e visionario, dove si esplorano le scienze naturali, l’alchimia e il collezionismo, Arcimboldo sviluppa un linguaggio pittorico unico.
I volti composti di frutti, fiori e animali
I suoi ritratti più celebri non somigliano a nessun altro: volti umani composti da elementi della natura come ortaggi, fiori, pesci e uccelli, oltre a libri e utensili.
Con opere come Le quattro stagioni e I quattro elementi crea complesse allegorie che mescolano ironia e cultura.
C’è ordine nella sua apparente follia: ogni oggetto è scelto con attenzione e ogni accostamento ha un significato simbolico.
L’arte di Giuseppe Arcimboldo affascina e sorprende; non è un semplice capriccio ma uno studio sulla natura, una riflessione sul tempo e un ponte tra scienza e immaginazione.
Il suo stile, spesso frainteso nei secoli successivi, viene riscoperto solo nel Novecento quando i surrealisti lo riconoscono come precursore della loro poetica.
La morte a Milano e il ritorno al silenzio
Nel 1587 Arcimboldo lascia la corte imperiale e torna a Milano, continua a dipingere e a progettare, ormai considerato un maestro.
Muore l’11 luglio 1593 nella sua città natale, il luogo della sepoltura resta incerto, ma la sua eredità resta viva.


















































































