12 ottobre 2006. Addio al regista Gillo Pontecorvo.

Un autore che ha cambiato la storia del cinema politico
Gilberto “Gillo” Pontecorvo: il regista che trasformò il cinema in impegno civile, nasce a Pisa il 19 novembre 1919 in una famiglia colta e cosmopolita.
Figlio di un imprenditore tessile e fratello di scienziati illustri come Bruno e Guido Pontecorvo, cresce in un ambiente ricco di stimoli intellettuali.
Fin da giovane mostra una curiosità vivace e una forte inclinazione verso la musica, lo sport e l’arte, ma sarà il cinema a diventare la sua vera vocazione.
Quando nel 1938 le leggi razziali fasciste colpiscono gli ebrei italiani, Pontecorvo si rifugia a Parigi.
Lì entra in contatto con gli ambienti culturali antifascisti, frequenta artisti e registi francesi e matura una coscienza politica profonda.
Quell’esperienza segnerà per sempre la sua visione artistica: per lui il cinema non sarà mai solo intrattenimento, ma uno strumento di denuncia, libertà e verità.
Dalla Resistenza alla macchina da presa
Durante la Seconda guerra mondiale, Pontecorvo aderisce al Partito Comunista Italiano e partecipa alla Resistenza con il nome di battaglia “Barnaba”. Dopo la Liberazione, decide di raccontare con le immagini ciò che aveva vissuto sulla propria pelle.
Si avvicina così al neorealismo, imparando il valore della verità quotidiana e del linguaggio diretto.
I suoi primi lavori sono documentari e cortometraggi sociali, tra cui Pane e zolfo e Giovanna, che già rivelano la sua sensibilità verso i temi del lavoro, della giustizia e della dignità umana.
Nel 1957 debutta con il lungometraggio La grande strada azzurra, interpretato da Yves Montand e Alida Valli.
Il film, ambientato in un piccolo villaggio di pescatori, racconta con tocco poetico la lotta dell’uomo contro la natura e la povertà.
“Kapò” e la consacrazione internazionale
Nel 1959 firma Kapò, una delle prime opere europee a raccontare l’orrore dei campi di concentramento.
La protagonista, una giovane ebrea costretta a collaborare con i nazisti per sopravvivere, diventa simbolo della disperazione e della colpa.
Il film suscita discussioni accese per la crudezza delle immagini e l’approccio morale, ma ottiene una nomination all’Oscar come miglior film straniero.
Con Kapò, Pontecorvo dimostra che il cinema può affrontare i tabù della storia e interrogare la coscienza collettiva.
“La battaglia di Algeri”: il capolavoro del cinema politico
Nel 1966 arriva la consacrazione definitiva con La battaglia di Algeri.
Girato in stile documentaristico, il film ricostruisce con realismo impressionante la guerra d’indipendenza algerina contro la Francia.
Pontecorvo, insieme allo sceneggiatore Franco Solinas, utilizza attori non professionisti e uno stile asciutto, crudo, quasi giornalistico.
Il risultato è un film che scuote le coscienze e diventa un manifesto contro ogni forma di colonialismo.
La battaglia di Algeri vince il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia e viene proiettato in tutto il mondo, studiato perfino nelle accademie militari come esempio di guerriglia urbana.
Il regista rifiuta però ogni etichetta ideologica: non vuole fare propaganda, ma mostrare la complessità della realtà.
Il suo cinema non divide, ma invita a capire.
Queimada e Ogro: la ribellione come destino
Dopo il successo algerino, Pontecorvo continua la sua esplorazione del potere e delle rivoluzioni.
Nel 1969 dirige Queimada (con Marlon Brando), ambientato in un’isola caraibica immaginaria, dove il colonialismo europeo viene smascherato nei suoi meccanismi più perversi.
È un film visionario e allegorico, che anticipa temi oggi centrali come lo sfruttamento economico e la manipolazione politica.
Dieci anni dopo realizza Ogro (1979), ispirato all’attentato dell’ETA contro il primo ministro spagnolo Carrero Blanco.
Il film, intenso e coraggioso, gli vale il David di Donatello per la miglior regia.
Con Ogro, Pontecorvo chiude idealmente la sua trilogia del potere e della ribellione.
Il maestro del cinema impegnato
Negli anni successivi, Gillo Pontecorvo si dedica alla promozione del cinema d’autore.
Nel 1986 fonda, insieme a Franco Solinas, il Premio Solinas per sostenere i giovani sceneggiatori italiani.
Dal 1992 al 1996 dirige la Mostra del Cinema di Venezia, impegnandosi a renderla più aperta e internazionale.
Per il suo contributo alla cultura, riceve il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Negli ultimi anni della sua vita, Pontecorvo si allontana dal set ma non dal dibattito culturale.
Partecipa a conferenze, scrive, riflette sul ruolo del cinema in un mondo dominato dai media.
Muore a Roma il 12 ottobre 2006, all’età di 86 anni, lasciando un vuoto profondo nel panorama artistico italiano e internazionale.
Resta uno dei più grandi registi del Novecento. Con il suo cinema diretto, civile e autentico, ha insegnato che l’arte può essere un atto politico, un gesto di libertà e di coscienza.
LPP
Un autore che ha cambiato la storia del cinema politico
Gilberto “Gillo” Pontecorvo: il regista che trasformò il cinema in impegno civile, nasce a Pisa il 19 novembre 1919 in una famiglia colta e cosmopolita.
Figlio di un imprenditore tessile e fratello di scienziati illustri come Bruno e Guido Pontecorvo, cresce in un ambiente ricco di stimoli intellettuali.
Fin da giovane mostra una curiosità vivace e una forte inclinazione verso la musica, lo sport e l’arte, ma sarà il cinema a diventare la sua vera vocazione.
Quando nel 1938 le leggi razziali fasciste colpiscono gli ebrei italiani, Pontecorvo si rifugia a Parigi.
Lì entra in contatto con gli ambienti culturali antifascisti, frequenta artisti e registi francesi e matura una coscienza politica profonda.
Quell’esperienza segnerà per sempre la sua visione artistica: per lui il cinema non sarà mai solo intrattenimento, ma uno strumento di denuncia, libertà e verità.
Dalla Resistenza alla macchina da presa
Durante la Seconda guerra mondiale, Pontecorvo aderisce al Partito Comunista Italiano e partecipa alla Resistenza con il nome di battaglia “Barnaba”. Dopo la Liberazione, decide di raccontare con le immagini ciò che aveva vissuto sulla propria pelle.
Si avvicina così al neorealismo, imparando il valore della verità quotidiana e del linguaggio diretto.
I suoi primi lavori sono documentari e cortometraggi sociali, tra cui Pane e zolfo e Giovanna, che già rivelano la sua sensibilità verso i temi del lavoro, della giustizia e della dignità umana.
Nel 1957 debutta con il lungometraggio La grande strada azzurra, interpretato da Yves Montand e Alida Valli.
Il film, ambientato in un piccolo villaggio di pescatori, racconta con tocco poetico la lotta dell’uomo contro la natura e la povertà.
“Kapò” e la consacrazione internazionale
Nel 1959 firma Kapò, una delle prime opere europee a raccontare l’orrore dei campi di concentramento.
La protagonista, una giovane ebrea costretta a collaborare con i nazisti per sopravvivere, diventa simbolo della disperazione e della colpa.
Il film suscita discussioni accese per la crudezza delle immagini e l’approccio morale, ma ottiene una nomination all’Oscar come miglior film straniero.
Con Kapò, Pontecorvo dimostra che il cinema può affrontare i tabù della storia e interrogare la coscienza collettiva.
“La battaglia di Algeri”: il capolavoro del cinema politico
Nel 1966 arriva la consacrazione definitiva con La battaglia di Algeri.
Girato in stile documentaristico, il film ricostruisce con realismo impressionante la guerra d’indipendenza algerina contro la Francia.
Pontecorvo, insieme allo sceneggiatore Franco Solinas, utilizza attori non professionisti e uno stile asciutto, crudo, quasi giornalistico.
Il risultato è un film che scuote le coscienze e diventa un manifesto contro ogni forma di colonialismo.
La battaglia di Algeri vince il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia e viene proiettato in tutto il mondo, studiato perfino nelle accademie militari come esempio di guerriglia urbana.
Il regista rifiuta però ogni etichetta ideologica: non vuole fare propaganda, ma mostrare la complessità della realtà.
Il suo cinema non divide, ma invita a capire.
Queimada e Ogro: la ribellione come destino
Dopo il successo algerino, Pontecorvo continua la sua esplorazione del potere e delle rivoluzioni.
Nel 1969 dirige Queimada (con Marlon Brando), ambientato in un’isola caraibica immaginaria, dove il colonialismo europeo viene smascherato nei suoi meccanismi più perversi.
È un film visionario e allegorico, che anticipa temi oggi centrali come lo sfruttamento economico e la manipolazione politica.
Dieci anni dopo realizza Ogro (1979), ispirato all’attentato dell’ETA contro il primo ministro spagnolo Carrero Blanco.
Il film, intenso e coraggioso, gli vale il David di Donatello per la miglior regia.
Con Ogro, Pontecorvo chiude idealmente la sua trilogia del potere e della ribellione.
Il maestro del cinema impegnato
Negli anni successivi, Gillo Pontecorvo si dedica alla promozione del cinema d’autore.
Nel 1986 fonda, insieme a Franco Solinas, il Premio Solinas per sostenere i giovani sceneggiatori italiani.
Dal 1992 al 1996 dirige la Mostra del Cinema di Venezia, impegnandosi a renderla più aperta e internazionale.
Per il suo contributo alla cultura, riceve il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Negli ultimi anni della sua vita, Pontecorvo si allontana dal set ma non dal dibattito culturale.
Partecipa a conferenze, scrive, riflette sul ruolo del cinema in un mondo dominato dai media.
Muore a Roma il 12 ottobre 2006, all’età di 86 anni, lasciando un vuoto profondo nel panorama artistico italiano e internazionale.
Resta uno dei più grandi registi del Novecento. Con il suo cinema diretto, civile e autentico, ha insegnato che l’arte può essere un atto politico, un gesto di libertà e di coscienza.
LPP



















































































