13 ottobre 1822. Muore lo scultore Antonio Canova.

Antonio Canova
Il 13 ottobre 1822, muore Antonio Canova, lo scultore che restituisce alla pietra la grazia del divino e al marmo la leggerezza del respiro umano.
Nato il 1º novembre 1757 a Possagno, nel Trevigiano, cresce circondato dall’arte grazie al nonno scalpellino, che gli trasmette l’amore per la scultura.
Da quel piccolo borgo veneto, Canova approda a Venezia e poi a Roma, dove il suo talento incontra la grande stagione del Neoclassicismo e ne diventa il simbolo assoluto.
L’arte che parla agli dèi
Antonio Canova ricerca l’armonia perfetta tra corpo e spirito, ispirandosi alla scultura greca antica ma filtrandola attraverso una sensibilità moderna.
Nelle sue opere, la materia non è mai fredda: il marmo diventa pelle, luce, emozione.
Tra i suoi capolavori più celebri si trovano “Amore e Psiche giacenti”, “Le Tre Grazie”, “Paolina Borghese come Venere vincitrice”, “Ercole e Lica”, e i monumenti funebri a Clemente XIV e Clemente XIII.
Ogni figura sembra colta in un respiro sospeso, dove la compostezza classica si fonde con un senso intimo di umanità.

Antonio Canova, Le tre grazie e Amore e Psiche giacenti
Il ruolo nella storia dell’arte
A Roma, Canova è riconosciuto come il “nuovo Fidia”.
Le sue sculture conquistano principi, papi e imperatori: Napoleone gli affida il compito di modellare i suoi ritratti e, dopo la caduta del Bonaparte, lo stesso Canova si impegna come diplomatico per restituire all’Italia le opere trafugate dai francesi.
La sua figura assume così un valore che va oltre l’arte: diventa simbolo di identità nazionale e di rinascita culturale.
La delicatezza del suo tocco, unita alla fermezza del pensiero, inaugura un modo nuovo di intendere la bellezza, in cui la perfezione formale si intreccia con la tensione morale.
La morte e l’eredità
Antonio Canova muore a Venezia il 13 ottobre 1822, a sessantacinque anni.
Il suo corpo viene sepolto nel tempio neoclassico di Possagno, da lui stesso ideato come sintesi della fede e dell’arte.
Il cuore, simbolicamente conservato a Venezia nella Basilica dei Frari, diventa reliquia laica di un artista che ha saputo scolpire l’eternità.
Antonio Canova
Il 13 ottobre 1822, muore Antonio Canova, lo scultore che restituisce alla pietra la grazia del divino e al marmo la leggerezza del respiro umano.
Nato il 1º novembre 1757 a Possagno, nel Trevigiano, cresce circondato dall’arte grazie al nonno scalpellino, che gli trasmette l’amore per la scultura.
Da quel piccolo borgo veneto, Canova approda a Venezia e poi a Roma, dove il suo talento incontra la grande stagione del Neoclassicismo e ne diventa il simbolo assoluto.
L’arte che parla agli dèi
Antonio Canova ricerca l’armonia perfetta tra corpo e spirito, ispirandosi alla scultura greca antica ma filtrandola attraverso una sensibilità moderna.
Nelle sue opere, la materia non è mai fredda: il marmo diventa pelle, luce, emozione.
Tra i suoi capolavori più celebri si trovano “Amore e Psiche giacenti”, “Le Tre Grazie”, “Paolina Borghese come Venere vincitrice”, “Ercole e Lica”, e i monumenti funebri a Clemente XIV e Clemente XIII.
Ogni figura sembra colta in un respiro sospeso, dove la compostezza classica si fonde con un senso intimo di umanità.

Antonio Canova, Le tre grazie e Amore e Psiche giacenti
Il ruolo nella storia dell’arte
A Roma, Canova è riconosciuto come il “nuovo Fidia”.
Le sue sculture conquistano principi, papi e imperatori: Napoleone gli affida il compito di modellare i suoi ritratti e, dopo la caduta del Bonaparte, lo stesso Canova si impegna come diplomatico per restituire all’Italia le opere trafugate dai francesi.
La sua figura assume così un valore che va oltre l’arte: diventa simbolo di identità nazionale e di rinascita culturale.
La delicatezza del suo tocco, unita alla fermezza del pensiero, inaugura un modo nuovo di intendere la bellezza, in cui la perfezione formale si intreccia con la tensione morale.
La morte e l’eredità
Antonio Canova muore a Venezia il 13 ottobre 1822, a sessantacinque anni.
Il suo corpo viene sepolto nel tempio neoclassico di Possagno, da lui stesso ideato come sintesi della fede e dell’arte.
Il cuore, simbolicamente conservato a Venezia nella Basilica dei Frari, diventa reliquia laica di un artista che ha saputo scolpire l’eternità.


















































































