14 giugno 1837 Muore Giacomo Leopardi, il “giovane favoloso” poeta dell’Infinito.

Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno del 1798 a Recanati (Macerata) dal conte Monaldo e da Adelaide dei Marchesi Antici.
Il padre, dotato di squisiti gusti letterari e artistici, riuscì a collezionare un’importante biblioteca domestica, contenente migliaia di libri e che vedrà il giovane Giacomo frequentatore assiduo.
A tredici anni già si dilettava di letture greche, francesi e inglesi, di fatto insensibile alle esortazioni paterne che avrebbe voluto per lui la conduzione di una vita più sana e dinamica.
Nella biblioteca di casa trascorre i “sette anni di studio matto e disperatissimo” nella volontà di impossessarsi del più ampio universo possibile. Sono anni che compromettono irrimediabilmente la salute e l’aspetto esteriore di Giacomo, fonte fra l’altro delle eterne dicerie sulla nascita del cosiddetto pessimismo leopardiano. Leopardi stesso si è invece sempre opposto al tentativo di svilire la portata delle sue convinzioni, contestando che queste nascessero da quelle.
La verità è che il precoce letterato soffriva di una forma di ipersensibilità che lo teneva lontano da tutto ciò che avrebbe potuto farlo soffrire, ma anche vivere.
Il canto della meraviglia
È il 1816, in particolare, l’anno in cui più distintamente la vocazione alla poesia si fa sentire, pur tra le tante opere di erudizione che ancora occupano il campo: accanto alle traduzioni del primo libro dell’Odissea e del secondo dell’Eneide, compone una lirica, “Le rimembranze,” una cantica e un inno. Interviene nella polemica milanese tra classici e romantici. Nel 1817 si registrano nuove traduzioni e prove poetiche significative.
La vita di Giacomo Leopardi in sè è povera di vicende esteriori: è la “storia di un’anima”. Con questo titolo il Leopardi aveva immaginato di scrivere un romanzo autobiografico.
Nei suoi “Canti”, “L’infinito” diventa un simbolo per chi cerca nell’orizzonte la traccia di un senso più grande.
Le sue poesie e le “Operette morali” riflettono il contrasto tra meraviglia e rassegnazione, tra desiderio e consapevolezza amara.
Giacomo Leopardi, un pensiero che sfida il tempo
Matura in questo clima la cosiddetta “conversione filosofica”, ossia il passaggio dalla poesia alla filosofia, dalla condizione “antica” (naturalmente felice e poetica) alla “moderna” (dominata dall’infelicità e dalla noia).
Secondo un percorso che riproduce a livello individuale l’itinerario che il genere umano si trovò a compiere nella sua storia. In altre parole, la condizione originaria della poesia si allontana ai suoi occhi sempre più nelle epoche passate, e appare irriproducibile nell’età presente, dove la ragione ha inibito la possibilità di dare vita ai fantasmi della fantasia e dell’illusione.
Leopardi dialoga con classicismo e illuminismo, rifiutando un romantico sentimentalismo per abbracciare un pessimismo lucido.
Nello “Zibaldone” costruisce un monumento alla riflessione, ai limiti umani, alla condizione moderna, anticipando temi esistenzialisti.
Giacomo Leopardi, il viaggiatore
Nel febbraio del 1823 Giacomo può realizzare, col permesso paterno, il sogno di uscire da Recanati dove si sentiva prigioniero di un ambiente mediocre, che non lo sapeva né lo poteva comprendere.
Ma recatosi a Roma presso lo zio materno, rimane profondamente deluso dalla città, troppo frivola e poco ospitale.
Ritornato a Recanati, vi rimane due anni. Prende poi dimora a Milano (1825) dove conosce Vincenzo Monti. E ancora a Bologna (1826), Firenze (1827), dove conosce Niccolini, Colletta e Manzoni.
Si mantiene con lo stipendio mensile dell’editore milanese Stella, per il quale cura il commento alle rime del Petrarca. Torna a Recanati ne 1828. Nell’Aprile del 1830 torna a Firenze su invito del Colletta. Qui stringe amicizia con l’esule napoletano Antonio Ranieri, il cui sodalizio durerà sino alla morte del poeta.
L’ultimo viaggio: Napoli
Nel 1831 vede la luce a Firenze l’edizione dei “Canti”. Nel 1833 parte con Ranieri alla volta di Napoli, dove due anni più tardi firma con l’editore Starita un contratto per la pubblicazione delle proprie opere. Nel 1836, per sfuggire alla minaccia del colera, si trasferisce alle falde del Vesuvio, dove compose due grandi liriche: “Il tramonto della luna” e “La ginestra”.
Il 14 giugno 1837 muore improvvisamente, a soli 39 anni.
L’addio e la memoria
Dopo la morte, il suo corpo è inizialmente sepolto a Napoli, poi traslato nel 1844 nella chiesa di San Vitale vicino a Pozzuoli. Per approfondire leggi anche: https://www.tgfuneral24.it/villa-delle-ginestre-e-il-mistero-della-sepoltura-di-giacomo-leopardi/
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai…
GL
LPP
Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno del 1798 a Recanati (Macerata) dal conte Monaldo e da Adelaide dei Marchesi Antici.
Il padre, dotato di squisiti gusti letterari e artistici, riuscì a collezionare un’importante biblioteca domestica, contenente migliaia di libri e che vedrà il giovane Giacomo frequentatore assiduo.
A tredici anni già si dilettava di letture greche, francesi e inglesi, di fatto insensibile alle esortazioni paterne che avrebbe voluto per lui la conduzione di una vita più sana e dinamica.
Nella biblioteca di casa trascorre i “sette anni di studio matto e disperatissimo” nella volontà di impossessarsi del più ampio universo possibile. Sono anni che compromettono irrimediabilmente la salute e l’aspetto esteriore di Giacomo, fonte fra l’altro delle eterne dicerie sulla nascita del cosiddetto pessimismo leopardiano. Leopardi stesso si è invece sempre opposto al tentativo di svilire la portata delle sue convinzioni, contestando che queste nascessero da quelle.
La verità è che il precoce letterato soffriva di una forma di ipersensibilità che lo teneva lontano da tutto ciò che avrebbe potuto farlo soffrire, ma anche vivere.
Il canto della meraviglia
È il 1816, in particolare, l’anno in cui più distintamente la vocazione alla poesia si fa sentire, pur tra le tante opere di erudizione che ancora occupano il campo: accanto alle traduzioni del primo libro dell’Odissea e del secondo dell’Eneide, compone una lirica, “Le rimembranze,” una cantica e un inno. Interviene nella polemica milanese tra classici e romantici. Nel 1817 si registrano nuove traduzioni e prove poetiche significative.
La vita di Giacomo Leopardi in sè è povera di vicende esteriori: è la “storia di un’anima”. Con questo titolo il Leopardi aveva immaginato di scrivere un romanzo autobiografico.
Nei suoi “Canti”, “L’infinito” diventa un simbolo per chi cerca nell’orizzonte la traccia di un senso più grande.
Le sue poesie e le “Operette morali” riflettono il contrasto tra meraviglia e rassegnazione, tra desiderio e consapevolezza amara.
Giacomo Leopardi, un pensiero che sfida il tempo
Matura in questo clima la cosiddetta “conversione filosofica”, ossia il passaggio dalla poesia alla filosofia, dalla condizione “antica” (naturalmente felice e poetica) alla “moderna” (dominata dall’infelicità e dalla noia).
Secondo un percorso che riproduce a livello individuale l’itinerario che il genere umano si trovò a compiere nella sua storia. In altre parole, la condizione originaria della poesia si allontana ai suoi occhi sempre più nelle epoche passate, e appare irriproducibile nell’età presente, dove la ragione ha inibito la possibilità di dare vita ai fantasmi della fantasia e dell’illusione.
Leopardi dialoga con classicismo e illuminismo, rifiutando un romantico sentimentalismo per abbracciare un pessimismo lucido.
Nello “Zibaldone” costruisce un monumento alla riflessione, ai limiti umani, alla condizione moderna, anticipando temi esistenzialisti.
Giacomo Leopardi, il viaggiatore
Nel febbraio del 1823 Giacomo può realizzare, col permesso paterno, il sogno di uscire da Recanati dove si sentiva prigioniero di un ambiente mediocre, che non lo sapeva né lo poteva comprendere.
Ma recatosi a Roma presso lo zio materno, rimane profondamente deluso dalla città, troppo frivola e poco ospitale.
Ritornato a Recanati, vi rimane due anni. Prende poi dimora a Milano (1825) dove conosce Vincenzo Monti. E ancora a Bologna (1826), Firenze (1827), dove conosce Niccolini, Colletta e Manzoni.
Si mantiene con lo stipendio mensile dell’editore milanese Stella, per il quale cura il commento alle rime del Petrarca. Torna a Recanati ne 1828. Nell’Aprile del 1830 torna a Firenze su invito del Colletta. Qui stringe amicizia con l’esule napoletano Antonio Ranieri, il cui sodalizio durerà sino alla morte del poeta.
L’ultimo viaggio: Napoli
Nel 1831 vede la luce a Firenze l’edizione dei “Canti”. Nel 1833 parte con Ranieri alla volta di Napoli, dove due anni più tardi firma con l’editore Starita un contratto per la pubblicazione delle proprie opere. Nel 1836, per sfuggire alla minaccia del colera, si trasferisce alle falde del Vesuvio, dove compose due grandi liriche: “Il tramonto della luna” e “La ginestra”.
Il 14 giugno 1837 muore improvvisamente, a soli 39 anni.
L’addio e la memoria
Dopo la morte, il suo corpo è inizialmente sepolto a Napoli, poi traslato nel 1844 nella chiesa di San Vitale vicino a Pozzuoli. Per approfondire leggi anche: https://www.tgfuneral24.it/villa-delle-ginestre-e-il-mistero-della-sepoltura-di-giacomo-leopardi/
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai…
GL
LPP


















































































