23 settembre 1985. Muore Giancarlo Siani, vittima della camorra.

Un giovane giornalista con la passione per la verità
Giancarlo Siani nasce a Napoli il 19 settembre 1959 e cresce con l’amore per la scrittura e per la città.
Dopo la laurea in Sociologia, si avvicina al giornalismo collaborando con riviste locali e, successivamente, con il quotidiano Il Mattino.
Il suo sguardo non si limita alla cronaca superficiale: osserva, analizza, racconta i meccanismi di potere che intrecciano politica e criminalità, con particolare attenzione al fenomeno camorristico.
Le inchieste e il coraggio di raccontare
Negli anni Ottanta Giancarlo Siani si occupa di Torre Annunziata, territorio segnato dalla violenza dei clan Nuvoletta e Gionta.
Con articoli documentati mette in luce legami, affari e collusioni, riuscendo a dare voce a una realtà spesso ignorata.
La sua inchiesta più celebre riguarda l’arresto del boss Valentino Gionta e la conseguente perdita di potere dei Nuvoletta.
Quelle righe, pubblicate nell’estate del 1985, mostrano il volto scomodo del suo lavoro: un giovane cronista precario che, con coraggio, porta alla luce dinamiche delicate e pericolose.
Il significato del suo impegno
La figura di Giancarlo Siani diventa simbolo del giornalismo d’inchiesta che non arretra di fronte alle minacce.
A soli 26 anni dimostra che l’età non limita la lucidità e l’integrità professionale.
Il suo esempio continua a ispirare generazioni di giornalisti e studenti che vedono nella sua vicenda la prova che raccontare la verità può costare la vita, ma rimane un dovere civile.
La morte e la memoria di Giancarlo Siani
La sera del 23 settembre 1985, rientrando a casa con la sua Citroën Méhari, Giancarlo Siani viene assassinato con dieci colpi di pistola da sicari della camorra.
L’agguato avviene a Napoli, nel quartiere Vomero, e scuote l’opinione pubblica nazionale.
Ai funerali, celebrati nella chiesa di San Gennaro al Vomero, partecipano centinaia di persone, unite in un dolore collettivo che si trasforma in indignazione e memoria attiva.
Oggi scuole, associazioni, biblioteche e iniziative culturali portano il suo nome, mantenendo viva la sua testimonianza e il valore della libertà di stampa.
Un giovane giornalista con la passione per la verità
Giancarlo Siani nasce a Napoli il 19 settembre 1959 e cresce con l’amore per la scrittura e per la città.
Dopo la laurea in Sociologia, si avvicina al giornalismo collaborando con riviste locali e, successivamente, con il quotidiano Il Mattino.
Il suo sguardo non si limita alla cronaca superficiale: osserva, analizza, racconta i meccanismi di potere che intrecciano politica e criminalità, con particolare attenzione al fenomeno camorristico.
Le inchieste e il coraggio di raccontare
Negli anni Ottanta Giancarlo Siani si occupa di Torre Annunziata, territorio segnato dalla violenza dei clan Nuvoletta e Gionta.
Con articoli documentati mette in luce legami, affari e collusioni, riuscendo a dare voce a una realtà spesso ignorata.
La sua inchiesta più celebre riguarda l’arresto del boss Valentino Gionta e la conseguente perdita di potere dei Nuvoletta.
Quelle righe, pubblicate nell’estate del 1985, mostrano il volto scomodo del suo lavoro: un giovane cronista precario che, con coraggio, porta alla luce dinamiche delicate e pericolose.
Il significato del suo impegno
La figura di Giancarlo Siani diventa simbolo del giornalismo d’inchiesta che non arretra di fronte alle minacce.
A soli 26 anni dimostra che l’età non limita la lucidità e l’integrità professionale.
Il suo esempio continua a ispirare generazioni di giornalisti e studenti che vedono nella sua vicenda la prova che raccontare la verità può costare la vita, ma rimane un dovere civile.
La morte e la memoria di Giancarlo Siani
La sera del 23 settembre 1985, rientrando a casa con la sua Citroën Méhari, Giancarlo Siani viene assassinato con dieci colpi di pistola da sicari della camorra.
L’agguato avviene a Napoli, nel quartiere Vomero, e scuote l’opinione pubblica nazionale.
Ai funerali, celebrati nella chiesa di San Gennaro al Vomero, partecipano centinaia di persone, unite in un dolore collettivo che si trasforma in indignazione e memoria attiva.
Oggi scuole, associazioni, biblioteche e iniziative culturali portano il suo nome, mantenendo viva la sua testimonianza e il valore della libertà di stampa.


















































































