30 luglio 2007. Muore Ingmar Bergman, maestro del cinema esistenziale.

Il regista che interroga Dio con una macchina da presa
Ingmar Bergman muore il 30 luglio 2007 sull’isola di Fårö, nella sua amata casa affacciata sul Baltico.
Ma la sua arte, densa come una sinfonia interiore, resta viva in ogni inquadratura che scava l’anima.
Autore svedese tra i più influenti del Novecento, Bergman non si limita a raccontare storie: sonda abissi.
I suoi film attraversano il dolore, la fede, il silenzio, la morte, con la stessa naturalezza con cui un altro regista affronterebbe un’infanzia perduta.
Una vita segnata da teatro, cinema e tormento
Nasce a Uppsala il 14 luglio 1918, figlio di un pastore luterano.
Il senso del peccato, l’austerità religiosa e il silenzio familiare diventano presto temi ricorrenti della sua poetica.
Si forma nel teatro, che considera una seconda pelle, e inizia a scrivere sceneggiature per il cinema a partire dagli anni Quaranta.
La regia arriva nel 1946 con Crisi, ma è negli anni Cinquanta che la sua voce si fa inconfondibile.
Con Il settimo sigillo (1957), Bergman inchioda l’immaginario collettivo con la celebre partita a scacchi tra un cavaliere crociato e la Morte. In Il posto delle fragole, sempre dello stesso anno, la nostalgia e il bilancio di vita si intrecciano con il sogno.
Segue un periodo di capolavori: Come in uno specchio, Luci d’inverno, Il silenzio e Persona, quest’ultimo con due attrici in un gioco di specchi inquietante e rivoluzionario.
Il significato di una filmografia interiore
Ingmar Bergman non è un autore da intrattenimento.
È uno dei pochi registi che trasforma il cinema in liturgia, senza mai risultare pedante. Indaga il divino e l’assenza di Dio, la colpa e l’amore, la paura della morte e quella di vivere.
I suoi personaggi sussurrano, gridano, pregano. Non sempre ricevono risposte.
Negli anni Ottanta torna al teatro e realizza per la TV uno dei suoi lavori più intensi: Fanny e Alexander.
In esso sembra chiudere un cerchio, offrendo al pubblico un Bergman più caldo, pur sempre tormentato.
Riceve il plauso mondiale, ma continua a evitare i riflettori, preferendo il silenzio della sua isola.
L’ultimo saluto a Fårö
Ingmar Bergman muore serenamente nel sonno, a 89 anni.
I funerali si tengono in forma privata sull’isola di Fårö, dove riposa accanto alla moglie Ingrid von Rosen.
Nessun trionfo, nessun addio plateale.
Solo il vento nordico e il mare che accarezza le pietre della sua tomba, come in una lunga dissolvenza finale.
Il regista che interroga Dio con una macchina da presa
Ingmar Bergman muore il 30 luglio 2007 sull’isola di Fårö, nella sua amata casa affacciata sul Baltico.
Ma la sua arte, densa come una sinfonia interiore, resta viva in ogni inquadratura che scava l’anima.
Autore svedese tra i più influenti del Novecento, Bergman non si limita a raccontare storie: sonda abissi.
I suoi film attraversano il dolore, la fede, il silenzio, la morte, con la stessa naturalezza con cui un altro regista affronterebbe un’infanzia perduta.
Una vita segnata da teatro, cinema e tormento
Nasce a Uppsala il 14 luglio 1918, figlio di un pastore luterano.
Il senso del peccato, l’austerità religiosa e il silenzio familiare diventano presto temi ricorrenti della sua poetica.
Si forma nel teatro, che considera una seconda pelle, e inizia a scrivere sceneggiature per il cinema a partire dagli anni Quaranta.
La regia arriva nel 1946 con Crisi, ma è negli anni Cinquanta che la sua voce si fa inconfondibile.
Con Il settimo sigillo (1957), Bergman inchioda l’immaginario collettivo con la celebre partita a scacchi tra un cavaliere crociato e la Morte. In Il posto delle fragole, sempre dello stesso anno, la nostalgia e il bilancio di vita si intrecciano con il sogno.
Segue un periodo di capolavori: Come in uno specchio, Luci d’inverno, Il silenzio e Persona, quest’ultimo con due attrici in un gioco di specchi inquietante e rivoluzionario.
Il significato di una filmografia interiore
Ingmar Bergman non è un autore da intrattenimento.
È uno dei pochi registi che trasforma il cinema in liturgia, senza mai risultare pedante. Indaga il divino e l’assenza di Dio, la colpa e l’amore, la paura della morte e quella di vivere.
I suoi personaggi sussurrano, gridano, pregano. Non sempre ricevono risposte.
Negli anni Ottanta torna al teatro e realizza per la TV uno dei suoi lavori più intensi: Fanny e Alexander.
In esso sembra chiudere un cerchio, offrendo al pubblico un Bergman più caldo, pur sempre tormentato.
Riceve il plauso mondiale, ma continua a evitare i riflettori, preferendo il silenzio della sua isola.
L’ultimo saluto a Fårö
Ingmar Bergman muore serenamente nel sonno, a 89 anni.
I funerali si tengono in forma privata sull’isola di Fårö, dove riposa accanto alla moglie Ingrid von Rosen.
Nessun trionfo, nessun addio plateale.
Solo il vento nordico e il mare che accarezza le pietre della sua tomba, come in una lunga dissolvenza finale.


















































































