8 luglio 1822. Muore Percy Bysshe Shelley, poeta ribelle e visionario del Romanticismo.

L’8 luglio 1822 Percy Bysshe Shelley muore in mare, al largo di Livorno, la sua barca, l’Ariel, si capovolge in mezzo a una tempesta, aveva 29 anni.
Troppo giovane per la morte, troppo libero per il suo tempo, la sua poesia ha già varcato i confini della storia e continua a parlarci con una voce che scuote, consola, incendia.
Una vita controcorrente
Nasce nel 1792, nell’Inghilterra dei privilegi e delle convenzioni, ma Shelley non si adatta.
Contesta la religione, l’autorità, l’ipocrisia del potere e viene espulso dall’università di Oxford per un opuscolo sull’ateismo.
Scappa, ama, scrive e incontra Mary, la figlia di Mary Wollstonecraft e futura autrice di Frankenstein.
Con lei condivide ideali, dolori, viaggi e un’intensa passione letteraria.
Percy Bysshe Shelley è inquieto e questa inquietudine si fa parola, si fa verso.
Scrive Ode to the West Wind, Adonais, Prometheus Unbound, versi che inseguono la giustizia, la bellezza, la libertà.
Versi che non cercano consolazione, ma rivoluzione interiore.
Il poeta che parla al futuro
Shelley non ha mai un grande pubblico in vita, i suoi temi, le sue idee radicali, lo rendono scomodo.
Ma i poeti, quelli veri, spesso nascono due volte e la seconda nascita avviene dopo la morte.
Oggi Percy Bysshe Shelley è riconosciuto come una delle voci più pure del Romanticismo inglese.
Chi legge i suoi versi sente il vento, sente la rabbia, sente l’amore per la vita e per ciò che potrebbe essere, se l’uomo fosse più umano.
Una morte tragica, un funerale memorabile
Il mare restituisce il suo corpo dopo dieci giorni, sul litorale di Viareggio, gli amici lo cremano sulla spiaggia.
Lord Byron è lì, Tennyson lo piangerà, Mary Shelley ne custodirà i resti, letteralmente e simbolicamente, per il resto della vita.
Dicono che dal suo corpo sia stato estratto il cuore, ancora intatto, come un simbolo, un cuore che non ha mai smesso di bruciare.
L’8 luglio 1822 Percy Bysshe Shelley muore in mare, al largo di Livorno, la sua barca, l’Ariel, si capovolge in mezzo a una tempesta, aveva 29 anni.
Troppo giovane per la morte, troppo libero per il suo tempo, la sua poesia ha già varcato i confini della storia e continua a parlarci con una voce che scuote, consola, incendia.
Una vita controcorrente
Nasce nel 1792, nell’Inghilterra dei privilegi e delle convenzioni, ma Shelley non si adatta.
Contesta la religione, l’autorità, l’ipocrisia del potere e viene espulso dall’università di Oxford per un opuscolo sull’ateismo.
Scappa, ama, scrive e incontra Mary, la figlia di Mary Wollstonecraft e futura autrice di Frankenstein.
Con lei condivide ideali, dolori, viaggi e un’intensa passione letteraria.
Percy Bysshe Shelley è inquieto e questa inquietudine si fa parola, si fa verso.
Scrive Ode to the West Wind, Adonais, Prometheus Unbound, versi che inseguono la giustizia, la bellezza, la libertà.
Versi che non cercano consolazione, ma rivoluzione interiore.
Il poeta che parla al futuro
Shelley non ha mai un grande pubblico in vita, i suoi temi, le sue idee radicali, lo rendono scomodo.
Ma i poeti, quelli veri, spesso nascono due volte e la seconda nascita avviene dopo la morte.
Oggi Percy Bysshe Shelley è riconosciuto come una delle voci più pure del Romanticismo inglese.
Chi legge i suoi versi sente il vento, sente la rabbia, sente l’amore per la vita e per ciò che potrebbe essere, se l’uomo fosse più umano.
Una morte tragica, un funerale memorabile
Il mare restituisce il suo corpo dopo dieci giorni, sul litorale di Viareggio, gli amici lo cremano sulla spiaggia.
Lord Byron è lì, Tennyson lo piangerà, Mary Shelley ne custodirà i resti, letteralmente e simbolicamente, per il resto della vita.
Dicono che dal suo corpo sia stato estratto il cuore, ancora intatto, come un simbolo, un cuore che non ha mai smesso di bruciare.


















































































