5 maggio 2000. Muore Gino Bartali, il campione che pedalava anche per la libertà.

Gino Bartali nasce il 18 luglio 1914 a Ponte a Ema, un piccolo borgo nei pressi di Firenze.
Cresce in una famiglia semplice, dove il sacrificio è una condizione quotidiana, ma dove non manca la dignità.
Fin da giovane si innamora della bicicletta, scoprendo presto che quella macchina a pedali può diventare la sua via per uscire dalla povertà e per costruirsi un futuro diverso.
Corre, soffre, cade, ma si rialza sempre.
In poco tempo diventa un talento naturale del ciclismo italiano.
Gino Bartali, il campione silenzioso
Negli anni Trenta e Quaranta, Gino Bartali conquista le prime pagine dei giornali sportivi e il cuore degli italiani.
Vince tre Giri d’Italia e due Tour de France, un’impresa leggendaria per l’epoca.
Ma Bartali è molto più di un atleta.
Durante la Seconda guerra mondiale, con discrezione e coraggio, trasporta documenti falsi nascosti nella canna della sua bicicletta, contribuendo a salvare centinaia di ebrei perseguitati.
Non ne parlerà mai in vita, perché – dice – “il bene si fa, ma non si dice”.
Un gesto di umanità e silenzioso eroismo che lo rende ancora più grande.
Nel 2013, lo Yad Vashem lo riconosce come “Giusto tra le Nazioni”.
Il ciclismo come sfida e messaggio
Nel dopoguerra, Bartali torna a correre.
Nel 1948, vince il Tour de France proprio quando l’Italia è sconvolta dall’attentato a Palmiro Togliatti.
La sua vittoria ha un impatto enorme sul morale del Paese, e molti storici ritengono che il suo successo abbia contribuito ad allentare le tensioni politiche.
La rivalità con Fausto Coppi divide l’Italia, ma sempre nel segno del rispetto e dello sport.
Bartali è l’esempio dell’atleta che non ha mai dimenticato da dove viene, e che nel successo conserva umiltà e valori.
L’ultimo riposo
Gino Bartali si spegne a Firenze il 5 maggio 2000, a 85 anni.
Viene sepolto nel cimitero di Ponte a Ema, il paese che lo ha visto nascere.
Una targa, accanto alla sua tomba, ricorda le sue imprese sportive e il suo coraggio civile.
Oggi è ricordato non solo come uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi, ma come un uomo giusto, capace di lasciare una traccia profonda nella storia e nella memoria.
Gino Bartali nasce il 18 luglio 1914 a Ponte a Ema, un piccolo borgo nei pressi di Firenze.
Cresce in una famiglia semplice, dove il sacrificio è una condizione quotidiana, ma dove non manca la dignità.
Fin da giovane si innamora della bicicletta, scoprendo presto che quella macchina a pedali può diventare la sua via per uscire dalla povertà e per costruirsi un futuro diverso.
Corre, soffre, cade, ma si rialza sempre.
In poco tempo diventa un talento naturale del ciclismo italiano.
Gino Bartali, il campione silenzioso
Negli anni Trenta e Quaranta, Gino Bartali conquista le prime pagine dei giornali sportivi e il cuore degli italiani.
Vince tre Giri d’Italia e due Tour de France, un’impresa leggendaria per l’epoca.
Ma Bartali è molto più di un atleta.
Durante la Seconda guerra mondiale, con discrezione e coraggio, trasporta documenti falsi nascosti nella canna della sua bicicletta, contribuendo a salvare centinaia di ebrei perseguitati.
Non ne parlerà mai in vita, perché – dice – “il bene si fa, ma non si dice”.
Un gesto di umanità e silenzioso eroismo che lo rende ancora più grande.
Nel 2013, lo Yad Vashem lo riconosce come “Giusto tra le Nazioni”.
Il ciclismo come sfida e messaggio
Nel dopoguerra, Bartali torna a correre.
Nel 1948, vince il Tour de France proprio quando l’Italia è sconvolta dall’attentato a Palmiro Togliatti.
La sua vittoria ha un impatto enorme sul morale del Paese, e molti storici ritengono che il suo successo abbia contribuito ad allentare le tensioni politiche.
La rivalità con Fausto Coppi divide l’Italia, ma sempre nel segno del rispetto e dello sport.
Bartali è l’esempio dell’atleta che non ha mai dimenticato da dove viene, e che nel successo conserva umiltà e valori.
L’ultimo riposo
Gino Bartali si spegne a Firenze il 5 maggio 2000, a 85 anni.
Viene sepolto nel cimitero di Ponte a Ema, il paese che lo ha visto nascere.
Una targa, accanto alla sua tomba, ricorda le sue imprese sportive e il suo coraggio civile.
Oggi è ricordato non solo come uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi, ma come un uomo giusto, capace di lasciare una traccia profonda nella storia e nella memoria.


















































































