Vanitas: quando l’arte ti ricorda che devi morire.

Vanitas è il nome che l’arte ha dato a un genere che sussurra alla coscienza.
Con grazia inquieta, ci rammenta che ogni cosa destinata a brillare… è anche destinata a spegnersi.
Siamo nel Seicento.
L’Europa è attraversata da guerre, pestilenze, rivoluzioni religiose.
E l’arte barocca, ricca e teatrale, riflette questa tensione tra apparenza e caducità.
Nasce così un nuovo linguaggio pittorico: le Vanitas.
Nature morte cariche di simboli, in cui ogni oggetto racconta il passaggio del tempo, l’illusione del potere, la certezza della morte.
Cos’è una Vanitas?
Il termine deriva dalla locuzione latina “vanitas vanitatum et omnia vanitas” (“vanità delle vanità, tutto è vanità”), tratta dalla Bibbia.
Le Vanitas sono nature morte simboliche, popolarissime nei Paesi Bassi e in Francia nel XVII secolo.
Nei dipinti troviamo oggetti come:
• Teschi, che rappresentano la morte fisica, ineluttabile.
• Clessidre o orologi, che scandiscono il tempo che scorre.
• Candele spente, che raccontano la fine della vita.
• Fiori appassiti, che mostrano la bellezza che sfiorisce.
• Libri o strumenti musicali, che alludono a cultura e piaceri destinati a dissolversi.
Spesso compaiono anche specchi, bolle di sapone, frutta matura.
Ogni elemento è lì per illudere e al tempo stesso avvertire.
I maestri
Tra gli artisti che hanno reso immortale questo genere troviamo:
• Pieter Claesz (Paesi Bassi), maestro dei toni sobri e delle atmosfere sospese.
• Harmen Steenwijck (Paesi Bassi), capace di un perfetto equilibrio tra bellezza visiva e simbolo.
• Simon Renard de Saint-André (Francia), interprete di una Vanitas più ricca, teatrale e sontuosa.

Harmen Steenwijck, Vanitas Still Life (1640)
Questi pittori non predicano.
Non condannano.
Sussurrano all’osservatore un invito alla riflessione: tutto passa, tutto svanisce.
Memento mori.
Arte contemporanea e fotografia
Molti artisti contemporanei riprendono la lezione delle Vanitas.
Fotografi come Joel-Peter Witkin o le installazioni di Damien Hirst, con teschi ricoperti di diamanti, rinnovano quel dialogo intimo con la morte.

Damien Hirst
Anche la cultura pop ne è piena: dalle copertine dei dischi alle pubblicità di profumi, il teschio è ovunque.
Perché la Vanitas continua a parlarci.
E continua a sedurci.
Una tela che respira eternità
Guardare queste opere è come specchiarsi nell’essenza stessa del tempo.
Sono messaggi visivi che ci ricordano la fugacità dell’esistenza, la certezza della fine.
Ma anche — e forse soprattutto — l’importanza di ogni istante vissuto.
Vania Pillepich
Vanitas è il nome che l’arte ha dato a un genere che sussurra alla coscienza.
Con grazia inquieta, ci rammenta che ogni cosa destinata a brillare… è anche destinata a spegnersi.
Siamo nel Seicento.
L’Europa è attraversata da guerre, pestilenze, rivoluzioni religiose.
E l’arte barocca, ricca e teatrale, riflette questa tensione tra apparenza e caducità.
Nasce così un nuovo linguaggio pittorico: le Vanitas.
Nature morte cariche di simboli, in cui ogni oggetto racconta il passaggio del tempo, l’illusione del potere, la certezza della morte.
Cos’è una Vanitas?
Il termine deriva dalla locuzione latina “vanitas vanitatum et omnia vanitas” (“vanità delle vanità, tutto è vanità”), tratta dalla Bibbia.
Le Vanitas sono nature morte simboliche, popolarissime nei Paesi Bassi e in Francia nel XVII secolo.
Nei dipinti troviamo oggetti come:
• Teschi, che rappresentano la morte fisica, ineluttabile.
• Clessidre o orologi, che scandiscono il tempo che scorre.
• Candele spente, che raccontano la fine della vita.
• Fiori appassiti, che mostrano la bellezza che sfiorisce.
• Libri o strumenti musicali, che alludono a cultura e piaceri destinati a dissolversi.
Spesso compaiono anche specchi, bolle di sapone, frutta matura.
Ogni elemento è lì per illudere e al tempo stesso avvertire.
I maestri
Tra gli artisti che hanno reso immortale questo genere troviamo:
• Pieter Claesz (Paesi Bassi), maestro dei toni sobri e delle atmosfere sospese.
• Harmen Steenwijck (Paesi Bassi), capace di un perfetto equilibrio tra bellezza visiva e simbolo.
• Simon Renard de Saint-André (Francia), interprete di una Vanitas più ricca, teatrale e sontuosa.

Harmen Steenwijck, Vanitas Still Life (1640)
Questi pittori non predicano.
Non condannano.
Sussurrano all’osservatore un invito alla riflessione: tutto passa, tutto svanisce.
Memento mori.
Arte contemporanea e fotografia
Molti artisti contemporanei riprendono la lezione delle Vanitas.
Fotografi come Joel-Peter Witkin o le installazioni di Damien Hirst, con teschi ricoperti di diamanti, rinnovano quel dialogo intimo con la morte.

Damien Hirst
Anche la cultura pop ne è piena: dalle copertine dei dischi alle pubblicità di profumi, il teschio è ovunque.
Perché la Vanitas continua a parlarci.
E continua a sedurci.
Una tela che respira eternità
Guardare queste opere è come specchiarsi nell’essenza stessa del tempo.
Sono messaggi visivi che ci ricordano la fugacità dell’esistenza, la certezza della fine.
Ma anche — e forse soprattutto — l’importanza di ogni istante vissuto.
Vania Pillepich


















































































