27 maggio 1939. Muore Joseph Roth, lo scrittore che narrò il declino dell’ideale mitteleuropeo.

Joseph Roth nasce nel 1894 a Brody, nell’allora Impero austro-ungarico, oggi Ucraina.
Figlio di una famiglia ebraica, cresce in un contesto multiculturale che segna profondamente il suo sguardo sul mondo.
Dopo gli studi a Leopoli e Vienna, partecipa alla Prima guerra mondiale come soldato dell’impero.
L’esperienza bellica e la caduta dell’Austria-Ungheria diventano il nucleo tematico di gran parte della sua opera.
Roth osserva con malinconia e lucidità la fine di un mondo ordinato, sostituito dal caos del dopoguerra e dall’ascesa dei nazionalismi.
Joseph Roth, il romanziere dell’Europa perduta
Negli anni Venti e Trenta, Joseph Roth si afferma come uno dei più grandi scrittori di lingua tedesca.
Scrive romanzi, racconti, reportage, cronache giornalistiche.
La sua prosa è raffinata, densa, sempre attraversata da una profonda sensibilità storica.
Tra le sue opere più celebri si ricordano Giobbe, La leggenda del santo bevitore e soprattutto La marcia di Radetzky.
Quest’ultimo romanzo è un commovente affresco della decadenza dell’Impero austro-ungarico, simbolo di un’epoca che si dissolve nella violenza e nella frammentazione.
Roth descrive il declino dell’ideale mitteleuropeo con nostalgia, ma anche con disincanto.
Le sue pagine rivelano un amore profondo per l’umanità ferita e smarrita.
Esilio e resistenza morale
Con l’ascesa del nazismo, Joseph Roth è costretto a lasciare la Germania.
Inizia un lungo esilio che lo porta in Francia, dove vive in condizioni sempre più precarie.
L’alcol diventa una via di fuga dalla solitudine e dalla disperazione per l’Europa che sta precipitando verso la catastrofe.
Fino all’ultimo, però, continua a scrivere e a denunciare i pericoli del fascismo e dell’antisemitismo.
Rimane fedele a una visione del mondo in cui cultura, tolleranza e giustizia devono prevalere sulla barbarie.
La morte in esilio
Joseph Roth muore a Parigi il 27 maggio 1939.
Viene sepolto nel cimitero parigino di Thiais.
I suoi libri restano un faro per comprendere le lacerazioni del Novecento e le fragilità dell’identità europea.
Joseph Roth nasce nel 1894 a Brody, nell’allora Impero austro-ungarico, oggi Ucraina.
Figlio di una famiglia ebraica, cresce in un contesto multiculturale che segna profondamente il suo sguardo sul mondo.
Dopo gli studi a Leopoli e Vienna, partecipa alla Prima guerra mondiale come soldato dell’impero.
L’esperienza bellica e la caduta dell’Austria-Ungheria diventano il nucleo tematico di gran parte della sua opera.
Roth osserva con malinconia e lucidità la fine di un mondo ordinato, sostituito dal caos del dopoguerra e dall’ascesa dei nazionalismi.
Joseph Roth, il romanziere dell’Europa perduta
Negli anni Venti e Trenta, Joseph Roth si afferma come uno dei più grandi scrittori di lingua tedesca.
Scrive romanzi, racconti, reportage, cronache giornalistiche.
La sua prosa è raffinata, densa, sempre attraversata da una profonda sensibilità storica.
Tra le sue opere più celebri si ricordano Giobbe, La leggenda del santo bevitore e soprattutto La marcia di Radetzky.
Quest’ultimo romanzo è un commovente affresco della decadenza dell’Impero austro-ungarico, simbolo di un’epoca che si dissolve nella violenza e nella frammentazione.
Roth descrive il declino dell’ideale mitteleuropeo con nostalgia, ma anche con disincanto.
Le sue pagine rivelano un amore profondo per l’umanità ferita e smarrita.
Esilio e resistenza morale
Con l’ascesa del nazismo, Joseph Roth è costretto a lasciare la Germania.
Inizia un lungo esilio che lo porta in Francia, dove vive in condizioni sempre più precarie.
L’alcol diventa una via di fuga dalla solitudine e dalla disperazione per l’Europa che sta precipitando verso la catastrofe.
Fino all’ultimo, però, continua a scrivere e a denunciare i pericoli del fascismo e dell’antisemitismo.
Rimane fedele a una visione del mondo in cui cultura, tolleranza e giustizia devono prevalere sulla barbarie.
La morte in esilio
Joseph Roth muore a Parigi il 27 maggio 1939.
Viene sepolto nel cimitero parigino di Thiais.
I suoi libri restano un faro per comprendere le lacerazioni del Novecento e le fragilità dell’identità europea.


















































































