8 luglio 2010. Muore Lelio Luttazzi, il tocco jazz dell’Italia anni ’60.

L’8 luglio 2010, Lelio Luttazzi si spegne nella sua casa a Trieste, ha 87 anni.
La voce è ferma, il sorriso discreto, l’eleganza intatta fino all’ultimo.
Non ha mai alzato i toni, non ha mai cercato l’effetto eppure, ha segnato un’epoca.
Con una parola lieve, una battuta sottovoce, un accordo di piano che resta in testa, Lelio Luttazzi è uno di quelli che non hanno bisogno di rumore per farsi ricordare.
Da Trieste a Roma con una valigia piena di swing
Nasce a Trieste il 27 aprile 1923, studia giurisprudenza, ma il jazz lo chiama più forte.
Inizia come pianista e arrangiatore, ma presto scrive canzoni, dirige orchestre, presenta in radio e in tv.
Negli anni Cinquanta e Sessanta diventa un volto familiare, ma mai banale, ha lo charme dei grandi presentatori americani, ma con un’ironia tutta italiana.
Conduce Hit Parade, recita accanto a Totò, scrive colonne sonore e brani indimenticabili, tra questi, El can de Trieste, Una zebra a pois, Giovanotto matto.
Canzoni leggere, intelligenti, costruite come piccoli racconti musicali.
Il talento che non si piega allo scandalo
Nel 1970 un’accusa ingiusta lo travolge, viene coinvolto in un’indagine per droga che si rivelerà infondata.
Lelio Luttazzi sceglie di allontanarsi dalle scene, per quasi trent’anni vive lontano dai riflettori, scrive, compone, ma non appare.
Chi lo ha amato, continua a farlo in silenzio, come se il suo stile riservato fosse diventato un insegnamento.
Un addio che profuma di musica
Muore nella sua città, Trieste, in punta di piedi, proprio come ha vissuto.
Il funerale si svolge in forma privata.
La sua musica, però, continua a risuonare, negli archivi RAI, nelle vecchie registrazioni radiofoniche, nei dischi che ancora fanno venire voglia di sorridere, con un ritmo swing e una rima elegante.
Lelio Luttazzi non è solo un musicista, é un modo di stare al mondo, con ironia, misura, intelligenza e quel tocco unico che nessuno, dopo di lui, ha saputo davvero imitare.
L’8 luglio 2010, Lelio Luttazzi si spegne nella sua casa a Trieste, ha 87 anni.
La voce è ferma, il sorriso discreto, l’eleganza intatta fino all’ultimo.
Non ha mai alzato i toni, non ha mai cercato l’effetto eppure, ha segnato un’epoca.
Con una parola lieve, una battuta sottovoce, un accordo di piano che resta in testa, Lelio Luttazzi è uno di quelli che non hanno bisogno di rumore per farsi ricordare.
Da Trieste a Roma con una valigia piena di swing
Nasce a Trieste il 27 aprile 1923, studia giurisprudenza, ma il jazz lo chiama più forte.
Inizia come pianista e arrangiatore, ma presto scrive canzoni, dirige orchestre, presenta in radio e in tv.
Negli anni Cinquanta e Sessanta diventa un volto familiare, ma mai banale, ha lo charme dei grandi presentatori americani, ma con un’ironia tutta italiana.
Conduce Hit Parade, recita accanto a Totò, scrive colonne sonore e brani indimenticabili, tra questi, El can de Trieste, Una zebra a pois, Giovanotto matto.
Canzoni leggere, intelligenti, costruite come piccoli racconti musicali.
Il talento che non si piega allo scandalo
Nel 1970 un’accusa ingiusta lo travolge, viene coinvolto in un’indagine per droga che si rivelerà infondata.
Lelio Luttazzi sceglie di allontanarsi dalle scene, per quasi trent’anni vive lontano dai riflettori, scrive, compone, ma non appare.
Chi lo ha amato, continua a farlo in silenzio, come se il suo stile riservato fosse diventato un insegnamento.
Un addio che profuma di musica
Muore nella sua città, Trieste, in punta di piedi, proprio come ha vissuto.
Il funerale si svolge in forma privata.
La sua musica, però, continua a risuonare, negli archivi RAI, nelle vecchie registrazioni radiofoniche, nei dischi che ancora fanno venire voglia di sorridere, con un ritmo swing e una rima elegante.
Lelio Luttazzi non è solo un musicista, é un modo di stare al mondo, con ironia, misura, intelligenza e quel tocco unico che nessuno, dopo di lui, ha saputo davvero imitare.


















































































