Fine vita e suicidio medicalmente assistito. Un nuovo discutibile disegno di legge: tra diritti negati e ritorni ideologici.

Il nuovo disegno di legge sul suicidio assistito: un passo indietro
Il recente disegno di legge proposto dalla maggioranza parlamentare italiana sul fine vita ha suscitato accese polemiche e profonde preoccupazioni.
Secondo giuristi, bioeticisti e associazioni per i diritti civili, la proposta rappresenta una distorsione dei principi sanciti dalla Corte Costituzionale nel 2019, in risposta al noto caso di Dj Fabo, assistito da Marco Cappato.
La Corte aveva stabilito, con la storica sentenza 242/2019, che non fosse punibile chi aiutasse una persona a morire, a condizione che quest’ultima:
- fosse tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale,
- fosse affetta da patologie irreversibili fonte di sofferenze intollerabili,
- fosse pienamente capace di decidere,
- e che tali condizioni fossero verificate da una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del comitato etico competente.
Il nuovo disegno di legge, invece, restringe fortemente la portata di questo diritto, alterando o reinterpretando i criteri fissati dalla Consulta, rendendo nella pratica il suicidio medicalmente assistito inapplicabile per la maggior parte dei pazienti.
I principali punti critici del disegno di legge
- Obbligatorietà delle cure palliative
Il testo prevede che l’accesso al suicidio assistito sia possibile solo se il paziente ha prima seguito un percorso di cure palliative.
La Corte, invece, le aveva raccomandate, senza renderle obbligatorie: imporle equivale a un trattamento forzato, contrario al principio dell’autodeterminazione. - Ridefinizione dei “trattamenti di sostegno vitale”
Viene ristretto il concetto ai soli trattamenti “sostitutivi di funzioni vitali” (come la ventilazione meccanica o la dialisi).
Questo esclude numerosi pazienti gravemente compromessi ma non tecnicamente dipendenti da macchinari, come Dj Fabo, che oggi risulterebbe non eleggibile. - Sofferenze oggettive, non soggettive
Il testo modifica anche la valutazione della sofferenza: non conta più come il paziente percepisce la propria condizione, ma solo un giudizio clinico astratto sulla sua “intollerabilità”. - Esclusione del Servizio Sanitario Nazionale
Il suicidio assistito non potrà avvenire nelle strutture pubbliche né con strumenti e personale del SSN, scaricando ogni responsabilità sulla persona malata e le famiglie, senza tutele sanitarie né garanzie pubbliche. - Introduzione del “Comitato Nazionale di Valutazione”
Un organo nominato dal Governo chiamato a esprimere un parere, non vincolante, sul suicidio assistito.
Una sorta di tribunale bioetico che può impiegare fino a 120 giorni per decidere, rallentando ulteriormente una procedura già di per sé complessa e dolorosa.
Un ritorno al passato: il caso Eluana e l’ideologia della destra
La cultura bioetica che anima questo disegno di legge ha radici lontane.
Nel 2009, durante il caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo da 17 anni, il Governo guidato da Silvio Berlusconi tentò un decreto per impedire l’interruzione dell’alimentazione artificiale, sostenendo che Eluana potesse ancora “generare un figlio”.
Fu il Presidente Giorgio Napolitano a bloccare quel tentativo.
Ma l’episodio evidenzia come certi orientamenti politici siano rimasti sostanzialmente immutati, e anzi si siano irrigiditi in senso ideologico e confessionale.
Una responsabilità condivisa
Non è però solo la destra a essere chiamata in causa.
Dopo la sentenza della Corte nel 2019, al Governo c’era la coalizione giallorossa.
Il Parlamento, tuttavia, non riuscì a legiferare, nonostante il tema fosse a costo zero e giuridicamente prioritario.
Così, mentre si approvava il discusso Superbonus 110%, la sentenza sul suicidio assistito restava lettera morta.
Oggi, il vuoto normativo viene colmato con una legge che non rispetta i diritti fondamentali della persona, come sanciti dalla Costituzione e dalla giurisprudenza della Corte.
Quali prospettive?
La previsione più probabile è che, se approvato in questi termini, il disegno di legge verrà impugnato nuovamente davanti alla Corte Costituzionale.
Si rischia un ulteriore stallo normativo, mentre i pazienti restano intrappolati in un limbo, costretti a ricorrere all’estero (come in Svizzera) per veder rispettata la propria volontà.
Intanto, il dibattito pubblico si polarizza.
Da un lato, chi difende il diritto all’autodeterminazione nel fine vita.
Dall’altro, chi grida al “partito della morte” e propone soluzioni tecnicamente inadeguate e giuridicamente discutibili.
LPP
Il nuovo disegno di legge sul suicidio assistito: un passo indietro
Il recente disegno di legge proposto dalla maggioranza parlamentare italiana sul fine vita ha suscitato accese polemiche e profonde preoccupazioni.
Secondo giuristi, bioeticisti e associazioni per i diritti civili, la proposta rappresenta una distorsione dei principi sanciti dalla Corte Costituzionale nel 2019, in risposta al noto caso di Dj Fabo, assistito da Marco Cappato.
La Corte aveva stabilito, con la storica sentenza 242/2019, che non fosse punibile chi aiutasse una persona a morire, a condizione che quest’ultima:
- fosse tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale,
- fosse affetta da patologie irreversibili fonte di sofferenze intollerabili,
- fosse pienamente capace di decidere,
- e che tali condizioni fossero verificate da una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del comitato etico competente.
Il nuovo disegno di legge, invece, restringe fortemente la portata di questo diritto, alterando o reinterpretando i criteri fissati dalla Consulta, rendendo nella pratica il suicidio medicalmente assistito inapplicabile per la maggior parte dei pazienti.
I principali punti critici del disegno di legge
- Obbligatorietà delle cure palliative
Il testo prevede che l’accesso al suicidio assistito sia possibile solo se il paziente ha prima seguito un percorso di cure palliative.
La Corte, invece, le aveva raccomandate, senza renderle obbligatorie: imporle equivale a un trattamento forzato, contrario al principio dell’autodeterminazione. - Ridefinizione dei “trattamenti di sostegno vitale”
Viene ristretto il concetto ai soli trattamenti “sostitutivi di funzioni vitali” (come la ventilazione meccanica o la dialisi).
Questo esclude numerosi pazienti gravemente compromessi ma non tecnicamente dipendenti da macchinari, come Dj Fabo, che oggi risulterebbe non eleggibile. - Sofferenze oggettive, non soggettive
Il testo modifica anche la valutazione della sofferenza: non conta più come il paziente percepisce la propria condizione, ma solo un giudizio clinico astratto sulla sua “intollerabilità”. - Esclusione del Servizio Sanitario Nazionale
Il suicidio assistito non potrà avvenire nelle strutture pubbliche né con strumenti e personale del SSN, scaricando ogni responsabilità sulla persona malata e le famiglie, senza tutele sanitarie né garanzie pubbliche. - Introduzione del “Comitato Nazionale di Valutazione”
Un organo nominato dal Governo chiamato a esprimere un parere, non vincolante, sul suicidio assistito.
Una sorta di tribunale bioetico che può impiegare fino a 120 giorni per decidere, rallentando ulteriormente una procedura già di per sé complessa e dolorosa.
Un ritorno al passato: il caso Eluana e l’ideologia della destra
La cultura bioetica che anima questo disegno di legge ha radici lontane.
Nel 2009, durante il caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo da 17 anni, il Governo guidato da Silvio Berlusconi tentò un decreto per impedire l’interruzione dell’alimentazione artificiale, sostenendo che Eluana potesse ancora “generare un figlio”.
Fu il Presidente Giorgio Napolitano a bloccare quel tentativo.
Ma l’episodio evidenzia come certi orientamenti politici siano rimasti sostanzialmente immutati, e anzi si siano irrigiditi in senso ideologico e confessionale.
Una responsabilità condivisa
Non è però solo la destra a essere chiamata in causa.
Dopo la sentenza della Corte nel 2019, al Governo c’era la coalizione giallorossa.
Il Parlamento, tuttavia, non riuscì a legiferare, nonostante il tema fosse a costo zero e giuridicamente prioritario.
Così, mentre si approvava il discusso Superbonus 110%, la sentenza sul suicidio assistito restava lettera morta.
Oggi, il vuoto normativo viene colmato con una legge che non rispetta i diritti fondamentali della persona, come sanciti dalla Costituzione e dalla giurisprudenza della Corte.
Quali prospettive?
La previsione più probabile è che, se approvato in questi termini, il disegno di legge verrà impugnato nuovamente davanti alla Corte Costituzionale.
Si rischia un ulteriore stallo normativo, mentre i pazienti restano intrappolati in un limbo, costretti a ricorrere all’estero (come in Svizzera) per veder rispettata la propria volontà.
Intanto, il dibattito pubblico si polarizza.
Da un lato, chi difende il diritto all’autodeterminazione nel fine vita.
Dall’altro, chi grida al “partito della morte” e propone soluzioni tecnicamente inadeguate e giuridicamente discutibili.
LPP



















































































