15 luglio 1904. Muore Anton Cechov, autore de Il gabbiano, Zio Vanja e Il giardino dei ciliegi.

Anton Cechov nasce il 29 gennaio 1860 a Taganrog, una cittadina sul mar d’Azov.
Figlio di un droghiere e cantore ortodosso, cresce in una famiglia numerosa e modesta, tra ristrettezze economiche e rigore religioso.
Studia medicina a Mosca, dove si laurea nel 1884: esercita come medico per tutta la vita, senza mai rinunciare alla scrittura, che considera una passione parallela.
Scrive racconti brevi per mantenere la famiglia e si fa presto notare per l’ironia sottile, l’umanità dei personaggi e l’attenzione ai dettagli del quotidiano.
Nel 1888 ottiene il premio Puškin per la raccolta La steppa.
Cechov non giudica né idealizza: osserva. E nel farlo, svela le contraddizioni, le fragilità e le speranze di un’intera società.
Il teatro dell’inquietudine
Negli anni Novanta dell’Ottocento si dedica anche al teatro.
Dopo alcuni tentativi giovanili, scrive opere che rivoluzionano la drammaturgia russa ed europea: Il gabbiano (1896), Zio Vanja (1899), Tre sorelle (1901), Il giardino dei ciliegi (1904).
I suoi drammi non seguono i modelli tradizionali: non c’è azione, ma attesa.
Cechov inaugura così il teatro della sottigliezza emotiva, dove il non detto ha più forza del detto.
Il regista Konstantin Stanislavskij, con il Teatro d’Arte di Mosca, dà corpo a questa nuova poetica, incentrata sull’interiorità.
Una voce che resta
Anton Cechov rappresenta un punto di svolta nella letteratura mondiale.
Con uno stile limpido e una scrittura essenziale, racconta l’animo umano nei suoi stati d’animo più complessi: malinconia, speranza, solitudine, desiderio di cambiamento.
Scrittori come Virginia Woolf, Raymond Carver e Alice Munro riconoscono in lui un maestro.
Anche nella narrativa breve, il suo impatto è straordinario: Cechov non cerca la sorpresa finale, ma la verità nel dettaglio.
L’ultimo brindisi
Nel 1904, gravemente malato di tubercolosi, si trasferisce a Badenweiler, in Germania, per curarsi.
Il 15 luglio muore in un albergo, tra il silenzio delle montagne e un bicchiere di champagne.
Sua moglie, l’attrice Olga Knipper, racconta che le sue ultime parole sono: “Da tanto non bevevo champagne”.
Viene sepolto nel cimitero del monastero di Novodevičij, a Mosca.
Anton Cechov nasce il 29 gennaio 1860 a Taganrog, una cittadina sul mar d’Azov.
Figlio di un droghiere e cantore ortodosso, cresce in una famiglia numerosa e modesta, tra ristrettezze economiche e rigore religioso.
Studia medicina a Mosca, dove si laurea nel 1884: esercita come medico per tutta la vita, senza mai rinunciare alla scrittura, che considera una passione parallela.
Scrive racconti brevi per mantenere la famiglia e si fa presto notare per l’ironia sottile, l’umanità dei personaggi e l’attenzione ai dettagli del quotidiano.
Nel 1888 ottiene il premio Puškin per la raccolta La steppa.
Cechov non giudica né idealizza: osserva. E nel farlo, svela le contraddizioni, le fragilità e le speranze di un’intera società.
Il teatro dell’inquietudine
Negli anni Novanta dell’Ottocento si dedica anche al teatro.
Dopo alcuni tentativi giovanili, scrive opere che rivoluzionano la drammaturgia russa ed europea: Il gabbiano (1896), Zio Vanja (1899), Tre sorelle (1901), Il giardino dei ciliegi (1904).
I suoi drammi non seguono i modelli tradizionali: non c’è azione, ma attesa.
Cechov inaugura così il teatro della sottigliezza emotiva, dove il non detto ha più forza del detto.
Il regista Konstantin Stanislavskij, con il Teatro d’Arte di Mosca, dà corpo a questa nuova poetica, incentrata sull’interiorità.
Una voce che resta
Anton Cechov rappresenta un punto di svolta nella letteratura mondiale.
Con uno stile limpido e una scrittura essenziale, racconta l’animo umano nei suoi stati d’animo più complessi: malinconia, speranza, solitudine, desiderio di cambiamento.
Scrittori come Virginia Woolf, Raymond Carver e Alice Munro riconoscono in lui un maestro.
Anche nella narrativa breve, il suo impatto è straordinario: Cechov non cerca la sorpresa finale, ma la verità nel dettaglio.
L’ultimo brindisi
Nel 1904, gravemente malato di tubercolosi, si trasferisce a Badenweiler, in Germania, per curarsi.
Il 15 luglio muore in un albergo, tra il silenzio delle montagne e un bicchiere di champagne.
Sua moglie, l’attrice Olga Knipper, racconta che le sue ultime parole sono: “Da tanto non bevevo champagne”.
Viene sepolto nel cimitero del monastero di Novodevičij, a Mosca.


















































































