29 luglio 1890. La morte di Vincent Van Gogh.

La vita inquieta di un artista instancabile
Vincent Van Gogh nasce il 30 marzo 1853 a Zundert, nei Paesi Bassi, e vive la propria esistenza come un percorso in bilico tra la luce e il buio, l’estasi creativa e l’abisso della mente.
Figlio di un pastore protestante, si avvicina inizialmente alla vita religiosa, per poi allontanarsene e dedicarsi all’arte con un’urgenza quasi spirituale.
Dopo anni difficili, vissuti tra Belgio, Paesi Bassi e Francia, approda a Parigi nel 1886, dove entra in contatto con gli impressionisti e con il fratello Theo, gallerista e unico vero sostegno emotivo ed economico.
La pittura diventa per lui un linguaggio viscerale, carico di tensione e lirismo. Nessun compromesso, nessun filtro: solo la necessità di raccontare ciò che vede e sente.
La pittura come specchio del dolore e della bellezza
Tra Arles, Saint-Rémy e Auvers-sur-Oise, Van Gogh dipinge con febbrile intensità. In dieci anni realizza oltre 800 dipinti e 1000 disegni, spesso in condizioni precarie, con materiali poveri e una salute mentale sempre più fragile.
Le sue opere, segnate da linee vorticose, colori accesi e pennellate vibranti, raccontano il mondo attraverso uno sguardo ferito ma capace di verità.
Tra i suoi quadri più noti emergono “I Girasoli”, “Notte stellata”, “La camera di Vincent ad Arles”, “Il seminatore”, “Campo di grano con volo di corvi”.
L’arte per lui è cura e condanna: la voce dell’inquietudine interiore che cerca redenzione nel colore.

La fine solitaria e il silenzio della fama negata
Il 27 luglio 1890, a soli 37 anni, Vincent Van Gogh si spara al petto in un campo di grano.
Riesce a raggiungere la locanda dove alloggia, ad Auvers-sur-Oise, e muore due giorni dopo, il 29 luglio, assistito dal fratello Theo.
Nessun funerale sontuoso, nessuna gloria: solo pochi amici, alcuni fiori gialli — come i suoi girasoli — e la sensazione che il mondo abbia perso un’anima grande senza accorgersene.

Van Gogh muore a Auvers-sur-Oise all’una e trenta di notte del 29 luglio 1890. Ha solo 37 anni.
Essendo il pittore morto suicida, il parroco di Auvers si rifiuta di benedirne la salma, e il carro funebre è fornito da un municipio vicino.
La vicina cittadina di Méry, comunque, acconsente alla sepoltura e il funerale si tiene il 30 luglio.
Van Gogh venne sepolto adagiato in una bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta da mazzi di fiori, dai girasoli che amava tanto, dalle dalie e da altri fiori gialli.
Riposa accanto al fratello Theo nel locale cimitero.
Sia le tombe che il villaggio, un museo a cielo aperto con riproduzioni di quadri, sono meta di tantissimi amanti dell’arte.
La vita inquieta di un artista instancabile
Vincent Van Gogh nasce il 30 marzo 1853 a Zundert, nei Paesi Bassi, e vive la propria esistenza come un percorso in bilico tra la luce e il buio, l’estasi creativa e l’abisso della mente.
Figlio di un pastore protestante, si avvicina inizialmente alla vita religiosa, per poi allontanarsene e dedicarsi all’arte con un’urgenza quasi spirituale.
Dopo anni difficili, vissuti tra Belgio, Paesi Bassi e Francia, approda a Parigi nel 1886, dove entra in contatto con gli impressionisti e con il fratello Theo, gallerista e unico vero sostegno emotivo ed economico.
La pittura diventa per lui un linguaggio viscerale, carico di tensione e lirismo. Nessun compromesso, nessun filtro: solo la necessità di raccontare ciò che vede e sente.
La pittura come specchio del dolore e della bellezza
Tra Arles, Saint-Rémy e Auvers-sur-Oise, Van Gogh dipinge con febbrile intensità. In dieci anni realizza oltre 800 dipinti e 1000 disegni, spesso in condizioni precarie, con materiali poveri e una salute mentale sempre più fragile.
Le sue opere, segnate da linee vorticose, colori accesi e pennellate vibranti, raccontano il mondo attraverso uno sguardo ferito ma capace di verità.
Tra i suoi quadri più noti emergono “I Girasoli”, “Notte stellata”, “La camera di Vincent ad Arles”, “Il seminatore”, “Campo di grano con volo di corvi”.
L’arte per lui è cura e condanna: la voce dell’inquietudine interiore che cerca redenzione nel colore.

La fine solitaria e il silenzio della fama negata
Il 27 luglio 1890, a soli 37 anni, Vincent Van Gogh si spara al petto in un campo di grano.
Riesce a raggiungere la locanda dove alloggia, ad Auvers-sur-Oise, e muore due giorni dopo, il 29 luglio, assistito dal fratello Theo.
Nessun funerale sontuoso, nessuna gloria: solo pochi amici, alcuni fiori gialli — come i suoi girasoli — e la sensazione che il mondo abbia perso un’anima grande senza accorgersene.

Van Gogh muore a Auvers-sur-Oise all’una e trenta di notte del 29 luglio 1890. Ha solo 37 anni.
Essendo il pittore morto suicida, il parroco di Auvers si rifiuta di benedirne la salma, e il carro funebre è fornito da un municipio vicino.
La vicina cittadina di Méry, comunque, acconsente alla sepoltura e il funerale si tiene il 30 luglio.
Van Gogh venne sepolto adagiato in una bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta da mazzi di fiori, dai girasoli che amava tanto, dalle dalie e da altri fiori gialli.
Riposa accanto al fratello Theo nel locale cimitero.
Sia le tombe che il villaggio, un museo a cielo aperto con riproduzioni di quadri, sono meta di tantissimi amanti dell’arte.


















































































