Epitaffi d’Autore, César Manrique.

César Manrique
Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato *Epitaffi d’Autore*, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere.
Perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
L’artista che trasformò Lanzarote in un’opera d’arte
César Manrique nasce ad Arrecife, sull’isola di Lanzarote, nel 1919.
Architetto, pittore, scultore e visionario, è conosciuto per aver trasformato la sua isola natale in un modello unico di armonia tra arte, natura e architettura.
Dopo anni trascorsi tra Madrid e New York, dove entra in contatto con l’avanguardia americana, Manrique torna alle Canarie portando con sé una nuova idea di bellezza: un’arte capace di integrarsi nel paesaggio, non di dominarlo.
Progetta spazi iconici come il Jameos del Agua, il Mirador del Río e la sua stessa casa di Tahíche, costruita all’interno di bolle vulcaniche.
In ogni progetto celebra la potenza della natura e il diritto dell’uomo a viverla in modo sostenibile.
Muore tragicamente nel 1992, in un incidente stradale avvenuto proprio nei pressi della sua casa natale, ironia del destino per chi aveva dedicato la vita a difendere la sua isola dal caos e dal cemento.
L’eternità in un secondo
Non esiste un epitaffio inciso sulla tomba di César Manrique, ma questa frase, tratta dai suoi scritti, ne racchiude l’essenza.
È poetica e vertiginosa come i panorami di Lanzarote che amava contemplare.
“La eternidad es un segundo y un segundo es la eternidad”
“L’eternità è un secondo e un secondo è l’eternità.”
Manrique percepisce la vita come un lampo eterno, un equilibrio fragile tra materia e spirito.
L’artista che lotta contro l’omologazione e le regole imposte sembra affidare alla morte la stessa leggerezza con cui guardava il mondo.
L’eternità diventa un battito di ciglia, un frammento in cui arte e natura si fondono per sempre.
Un’eredità scolpita nella pietra e nel vento

Oggi César Manrique riposa nel cimitero di Haría, nel nord di Lanzarote.
Non c’è iscrizione sulla sua tomba, ma la sua memoria è ovunque: nei colori delle case, nelle curve delle strade, nella luce che filtra tra le rocce vulcaniche.
Ogni angolo dell’isola parla di lui.
La sua “ultima parola” non è scritta sul marmo, ma nel paesaggio che continua a vivere come un’opera d’arte.
E forse è proprio questo il suo vero epitaffio: l’eternità di un secondo che non smette mai di risplendere.
César Manrique
Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato *Epitaffi d’Autore*, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere.
Perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
L’artista che trasformò Lanzarote in un’opera d’arte
César Manrique nasce ad Arrecife, sull’isola di Lanzarote, nel 1919.
Architetto, pittore, scultore e visionario, è conosciuto per aver trasformato la sua isola natale in un modello unico di armonia tra arte, natura e architettura.
Dopo anni trascorsi tra Madrid e New York, dove entra in contatto con l’avanguardia americana, Manrique torna alle Canarie portando con sé una nuova idea di bellezza: un’arte capace di integrarsi nel paesaggio, non di dominarlo.
Progetta spazi iconici come il Jameos del Agua, il Mirador del Río e la sua stessa casa di Tahíche, costruita all’interno di bolle vulcaniche.
In ogni progetto celebra la potenza della natura e il diritto dell’uomo a viverla in modo sostenibile.
Muore tragicamente nel 1992, in un incidente stradale avvenuto proprio nei pressi della sua casa natale, ironia del destino per chi aveva dedicato la vita a difendere la sua isola dal caos e dal cemento.
L’eternità in un secondo
Non esiste un epitaffio inciso sulla tomba di César Manrique, ma questa frase, tratta dai suoi scritti, ne racchiude l’essenza.
È poetica e vertiginosa come i panorami di Lanzarote che amava contemplare.
“La eternidad es un segundo y un segundo es la eternidad”
“L’eternità è un secondo e un secondo è l’eternità.”
Manrique percepisce la vita come un lampo eterno, un equilibrio fragile tra materia e spirito.
L’artista che lotta contro l’omologazione e le regole imposte sembra affidare alla morte la stessa leggerezza con cui guardava il mondo.
L’eternità diventa un battito di ciglia, un frammento in cui arte e natura si fondono per sempre.
Un’eredità scolpita nella pietra e nel vento

Oggi César Manrique riposa nel cimitero di Haría, nel nord di Lanzarote.
Non c’è iscrizione sulla sua tomba, ma la sua memoria è ovunque: nei colori delle case, nelle curve delle strade, nella luce che filtra tra le rocce vulcaniche.
Ogni angolo dell’isola parla di lui.
La sua “ultima parola” non è scritta sul marmo, ma nel paesaggio che continua a vivere come un’opera d’arte.
E forse è proprio questo il suo vero epitaffio: l’eternità di un secondo che non smette mai di risplendere.


















































































