17 ottobre 1982. Muore Beppe Viola, la voce ironica del calcio.

Un milanese che cambia il modo di raccontare
Beppe Viola nasce a Milano il 26 ottobre 1939 e cresce in una città che vive di calcio, ironia e musica.
Inizia la sua carriera giovanissimo alla Rai, dove lavora come cronista sportivo e poi come giornalista.
Il suo linguaggio diretto, ironico e profondamente umano rompe gli schemi del giornalismo tradizionale, portando nei servizi un tono colloquiale e autentico che conquista il pubblico.
Nelle sue telecronache e nei servizi per “90° Minuto” racconta il calcio come specchio della vita quotidiana, con uno sguardo che unisce malinconia e sorriso.
Dalla Rai al cabaret, passando per la scrittura
Accanto al lavoro televisivo, Beppe Viola si dedica alla scrittura e al cinema.
Collabora con Enzo Jannacci, amico e complice di lunga data, con il quale firma testi di canzoni intrise di ironia e verità popolare.
Scrive sceneggiature per film come Romanzo popolare di Mario Monicelli e partecipa al mondo del cabaret milanese, dove il suo umorismo tagliente e surreale trova terreno fertile.
Nelle sue parole convivono cultura e quotidianità, come se il lessico del bar potesse entrare in televisione senza perdere autenticità.
Un linguaggio che lascia il segno
Beppe Viola è considerato un innovatore del linguaggio giornalistico.
Riesce a fondere la cronaca sportiva con la narrazione letteraria, usando un tono che anticipa quello della comunicazione moderna.
Molti lo ricordano come un precursore del giornalismo d’autore, capace di mescolare racconto, ironia e poesia urbana.
La sua Milano, quella dei tram, dei bar e delle partite in bianco e nero, resta sullo sfondo di ogni sua parola.
L’ultimo giorno e l’eredità
Il 17 ottobre 1982, durante una partita di calcio tra amici, Beppe Viola viene colpito da un’emorragia cerebrale che ne interrompe la vita a soli quarantatré anni.
La città di Milano gli rende omaggio con affetto e commozione.
Il suo funerale, seguito da colleghi, artisti e sportivi, diventa un momento di riconoscimento collettivo per un uomo che ha saputo raccontare lo sport come nessun altro.
Un milanese che cambia il modo di raccontare
Beppe Viola nasce a Milano il 26 ottobre 1939 e cresce in una città che vive di calcio, ironia e musica.
Inizia la sua carriera giovanissimo alla Rai, dove lavora come cronista sportivo e poi come giornalista.
Il suo linguaggio diretto, ironico e profondamente umano rompe gli schemi del giornalismo tradizionale, portando nei servizi un tono colloquiale e autentico che conquista il pubblico.
Nelle sue telecronache e nei servizi per “90° Minuto” racconta il calcio come specchio della vita quotidiana, con uno sguardo che unisce malinconia e sorriso.
Dalla Rai al cabaret, passando per la scrittura
Accanto al lavoro televisivo, Beppe Viola si dedica alla scrittura e al cinema.
Collabora con Enzo Jannacci, amico e complice di lunga data, con il quale firma testi di canzoni intrise di ironia e verità popolare.
Scrive sceneggiature per film come Romanzo popolare di Mario Monicelli e partecipa al mondo del cabaret milanese, dove il suo umorismo tagliente e surreale trova terreno fertile.
Nelle sue parole convivono cultura e quotidianità, come se il lessico del bar potesse entrare in televisione senza perdere autenticità.
Un linguaggio che lascia il segno
Beppe Viola è considerato un innovatore del linguaggio giornalistico.
Riesce a fondere la cronaca sportiva con la narrazione letteraria, usando un tono che anticipa quello della comunicazione moderna.
Molti lo ricordano come un precursore del giornalismo d’autore, capace di mescolare racconto, ironia e poesia urbana.
La sua Milano, quella dei tram, dei bar e delle partite in bianco e nero, resta sullo sfondo di ogni sua parola.
L’ultimo giorno e l’eredità
Il 17 ottobre 1982, durante una partita di calcio tra amici, Beppe Viola viene colpito da un’emorragia cerebrale che ne interrompe la vita a soli quarantatré anni.
La città di Milano gli rende omaggio con affetto e commozione.
Il suo funerale, seguito da colleghi, artisti e sportivi, diventa un momento di riconoscimento collettivo per un uomo che ha saputo raccontare lo sport come nessun altro.


















































































