Il rito vittoriano delle fotografie post mortem.

Fotografie post mortem nell’Ottocento: il rito vittoriano che trasformava la morte in memoria eterna.
L’origine di una pratica insolita
Nell’Ottocento, in particolare durante l’epoca vittoriana, si diffuse una pratica che oggi può sembrare inquietante ma che all’epoca aveva un profondo valore simbolico: le fotografie post mortem.
Si trattava di ritratti realizzati dopo la morte, in cui i defunti venivano preparati, vestiti con abiti eleganti e posizionati come se fossero ancora in vita. Per molte famiglie, la fotografia era un lusso inaccessibile in vita, e proprio per questo l’unica immagine arrivava soltanto dopo la sua scomparsa.
Un rituale di memoria e affetto
Questi scatti non erano considerati macabri ma veri e propri atti d’amore. I defunti venivano messi in posa seduta o persino in piedi grazie a supporti nascosti, mentre i fotografi ritoccavano le immagini per renderle più realistiche, dipingendo occhi sulle palpebre chiuse o aggiungendo dettagli a mano. Il risultato era un ritratto che sembrava catturare ancora un soffio di vita. Spesso i familiari comparivano accanto al defunto, con espressioni composte e serene, dando vita a un ultimo ritratto di famiglia che univa i vivi e i morti nello stesso ricordo.
La fotografia come elaborazione del lutto
Nella società vittoriana, fortemente segnata da regole e rituali legati alla morte, le fotografie post mortem rappresentavano un modo per elaborare il dolore e conservare la memoria di chi non c’era più. Non si trattava solo di una testimonianza visiva, ma di un vero e proprio rito funebre che permetteva di affrontare la perdita. Questi ritratti diventavano reliquie familiari, custodite nelle case come ricordo intimo e affettuoso.
Un ricordo eterno che oggi sorprende
Oggi queste immagini, potrebbero suscitare un senso di inquietudine. Eppure, nell’Ottocento, immortalare la morte aveva la stessa dolcezza con cui noi oggi fotografiamo i momenti più importanti della vita. Era un ultimo saluto trasformato in memoria eterna, un modo per mantenere viva la presenza di chi non poteva più tornare.
Laura Persico Pezzino
Fotografie post mortem nell’Ottocento: il rito vittoriano che trasformava la morte in memoria eterna.
L’origine di una pratica insolita
Nell’Ottocento, in particolare durante l’epoca vittoriana, si diffuse una pratica che oggi può sembrare inquietante ma che all’epoca aveva un profondo valore simbolico: le fotografie post mortem.
Si trattava di ritratti realizzati dopo la morte, in cui i defunti venivano preparati, vestiti con abiti eleganti e posizionati come se fossero ancora in vita. Per molte famiglie, la fotografia era un lusso inaccessibile in vita, e proprio per questo l’unica immagine arrivava soltanto dopo la sua scomparsa.
Un rituale di memoria e affetto
Questi scatti non erano considerati macabri ma veri e propri atti d’amore. I defunti venivano messi in posa seduta o persino in piedi grazie a supporti nascosti, mentre i fotografi ritoccavano le immagini per renderle più realistiche, dipingendo occhi sulle palpebre chiuse o aggiungendo dettagli a mano. Il risultato era un ritratto che sembrava catturare ancora un soffio di vita. Spesso i familiari comparivano accanto al defunto, con espressioni composte e serene, dando vita a un ultimo ritratto di famiglia che univa i vivi e i morti nello stesso ricordo.
La fotografia come elaborazione del lutto
Nella società vittoriana, fortemente segnata da regole e rituali legati alla morte, le fotografie post mortem rappresentavano un modo per elaborare il dolore e conservare la memoria di chi non c’era più. Non si trattava solo di una testimonianza visiva, ma di un vero e proprio rito funebre che permetteva di affrontare la perdita. Questi ritratti diventavano reliquie familiari, custodite nelle case come ricordo intimo e affettuoso.
Un ricordo eterno che oggi sorprende
Oggi queste immagini, potrebbero suscitare un senso di inquietudine. Eppure, nell’Ottocento, immortalare la morte aveva la stessa dolcezza con cui noi oggi fotografiamo i momenti più importanti della vita. Era un ultimo saluto trasformato in memoria eterna, un modo per mantenere viva la presenza di chi non poteva più tornare.
Laura Persico Pezzino



















































































