Jack DeJohnette, addio al leggendario batterista del jazz mondiale.

Le origini di un talento
Jack DeJohnette nasce a Chicago nel 1942 e sin da bambino dimostra un’inclinazione naturale per la musica.
Inizia a suonare il pianoforte all’età di cinque anni, uno strumento che continuerà a praticare per tutta la vita, anche dopo aver scoperto la batteria, che diventerà la sua vera voce artistica.
Durante l’adolescenza canta in un gruppo doo-wop e suona rock’n’roll, ma ben presto si avvicina al jazz, un genere che lo conquisterà definitivamente.
Alla fine degli anni Cinquanta fonda il suo primo trio e, animato da una determinazione straordinaria, abbandona l’università per trasferirsi a New York con la sua batteria e soli 28 dollari in tasca.
L’ascesa nel mondo del jazz
Nella New York degli anni Sessanta, Jack DeJohnette entra rapidamente in contatto con la scena jazz più innovativa del tempo.
Il suo stile versatile e dinamico lo porta a collaborare con alcuni dei più grandi nomi della musica: Miles Davis, Sonny Rollins e Charles Lloyd, con cui registra alcuni dischi fondamentali per la storia del genere.
Nel 1973 inizia il suo lungo sodalizio con la celebre etichetta ECM Records, pubblicando l’album Ruta and Daitya in duo con Keith Jarrett.
Da quel momento, Jarrett lo vorrà come batterista fisso del suo leggendario trio insieme al contrabbassista Gary Peacock, una formazione che segnerà oltre trent’anni di storia del jazz contemporaneo.
Un batterista fuori dal tempo
Jack DeJohnette è stato un autentico innovatore.
Il suo modo di suonare univa potenza e sensibilità, tecnica e istinto, creando un linguaggio sonoro unico e riconoscibile.
Ha guidato diversi progetti personali, tra cui Compost, Gateway e New Directions, e ha collaborato con artisti come Jan Garbarek, Pat Metheny, Herbie Hancock e Bill Evans.
Il suo contributo ha spaziato tra jazz acustico, fusion e sperimentazione, rendendolo una figura trasversale amata da generazioni di musicisti.
Premi e riconoscimenti
Durante la sua lunga carriera, Jack DeJohnette ha ricevuto due Grammy Awards, l’ultimo nel 2022 per Skyline, realizzato con Ron Carter e Gonzalo Rubalcaba, premiato come miglior album jazz strumentale.
Nel 2012 è stato nominato National Endowment for the Arts Jazz Master, il più alto riconoscimento assegnato negli Stati Uniti a un musicista jazz.
Jack DeJohnette è morto all’età di 83 anni a causa di un’insufficienza cardiaca congestizia, come confermato dalla sua assistente personale e dalla casa discografica ECM, che ha pubblicato gran parte delle sue opere.
Con lui scompare uno dei più grandi batteristi della storia della musica moderna, un artista capace di fondere emozione, virtuosismo e spiritualità.
Le origini di un talento
Jack DeJohnette nasce a Chicago nel 1942 e sin da bambino dimostra un’inclinazione naturale per la musica.
Inizia a suonare il pianoforte all’età di cinque anni, uno strumento che continuerà a praticare per tutta la vita, anche dopo aver scoperto la batteria, che diventerà la sua vera voce artistica.
Durante l’adolescenza canta in un gruppo doo-wop e suona rock’n’roll, ma ben presto si avvicina al jazz, un genere che lo conquisterà definitivamente.
Alla fine degli anni Cinquanta fonda il suo primo trio e, animato da una determinazione straordinaria, abbandona l’università per trasferirsi a New York con la sua batteria e soli 28 dollari in tasca.
L’ascesa nel mondo del jazz
Nella New York degli anni Sessanta, Jack DeJohnette entra rapidamente in contatto con la scena jazz più innovativa del tempo.
Il suo stile versatile e dinamico lo porta a collaborare con alcuni dei più grandi nomi della musica: Miles Davis, Sonny Rollins e Charles Lloyd, con cui registra alcuni dischi fondamentali per la storia del genere.
Nel 1973 inizia il suo lungo sodalizio con la celebre etichetta ECM Records, pubblicando l’album Ruta and Daitya in duo con Keith Jarrett.
Da quel momento, Jarrett lo vorrà come batterista fisso del suo leggendario trio insieme al contrabbassista Gary Peacock, una formazione che segnerà oltre trent’anni di storia del jazz contemporaneo.
Un batterista fuori dal tempo
Jack DeJohnette è stato un autentico innovatore.
Il suo modo di suonare univa potenza e sensibilità, tecnica e istinto, creando un linguaggio sonoro unico e riconoscibile.
Ha guidato diversi progetti personali, tra cui Compost, Gateway e New Directions, e ha collaborato con artisti come Jan Garbarek, Pat Metheny, Herbie Hancock e Bill Evans.
Il suo contributo ha spaziato tra jazz acustico, fusion e sperimentazione, rendendolo una figura trasversale amata da generazioni di musicisti.
Premi e riconoscimenti
Durante la sua lunga carriera, Jack DeJohnette ha ricevuto due Grammy Awards, l’ultimo nel 2022 per Skyline, realizzato con Ron Carter e Gonzalo Rubalcaba, premiato come miglior album jazz strumentale.
Nel 2012 è stato nominato National Endowment for the Arts Jazz Master, il più alto riconoscimento assegnato negli Stati Uniti a un musicista jazz.
Jack DeJohnette è morto all’età di 83 anni a causa di un’insufficienza cardiaca congestizia, come confermato dalla sua assistente personale e dalla casa discografica ECM, che ha pubblicato gran parte delle sue opere.
Con lui scompare uno dei più grandi batteristi della storia della musica moderna, un artista capace di fondere emozione, virtuosismo e spiritualità.


















































































