14 novembre 1951. L’alluvione del Polesine devasta il Veneto.

Il fiume che si ribella
È la notte tra il 14 e il 15 novembre 1951 quando il Po, gonfio per le piogge incessanti e lo scioglimento delle nevi alpine, rompe gli argini nei pressi di Occhiobello, in provincia di Rovigo.
L’alluvione del Polesine si abbatte sul Veneto come una ferita improvvisa e devastante.
In poche ore, un territorio di circa 100.000 ettari viene sommerso da un mare d’acqua e fango.
Le campagne spariscono, i paesi vengono inghiottiti, migliaia di persone restano isolate sui tetti o intrappolate nelle case.
La tragedia e i soccorsi
L’acqua avanza con una forza inarrestabile, trascinando alberi, animali e ogni traccia di vita rurale.
Il bilancio è drammatico: più di cento morti, circa 180.000 sfollati e un’economia agricola annientata.
L’Italia intera si mobilita.
L’esercito, la Croce Rossa e centinaia di volontari accorrono per portare aiuto.
Le prime operazioni di soccorso avvengono con barche e aerei militari. Anche le navi della Marina vengono inviate sul Po per evacuare gli abitanti dei villaggi più colpiti.
Molti di loro trovano rifugio in altre regioni, dando origine a un esodo silenzioso che segna la memoria collettiva del Paese.
La rinascita del Polesine
Quando le acque si ritirano, il paesaggio appare irriconoscibile: distese di fango, case crollate, bestiame morto, campi perduti.
La ricostruzione richiede anni e diventa un simbolo della rinascita italiana del dopoguerra.
Il governo avvia opere idrauliche di grande portata per rafforzare gli argini e prevenire nuove catastrofi. Ma è soprattutto la tenacia della popolazione polesana a restituire vita a quella terra ferita.
Il ricordo e la memoria
L’alluvione del Polesine resta una delle più gravi calamità naturali del Novecento italiano.
Ogni anniversario è un momento di memoria collettiva, un tributo a chi ha perso tutto e a chi ha ricostruito con coraggio.
Il fiume che si ribella
È la notte tra il 14 e il 15 novembre 1951 quando il Po, gonfio per le piogge incessanti e lo scioglimento delle nevi alpine, rompe gli argini nei pressi di Occhiobello, in provincia di Rovigo.
L’alluvione del Polesine si abbatte sul Veneto come una ferita improvvisa e devastante.
In poche ore, un territorio di circa 100.000 ettari viene sommerso da un mare d’acqua e fango.
Le campagne spariscono, i paesi vengono inghiottiti, migliaia di persone restano isolate sui tetti o intrappolate nelle case.
La tragedia e i soccorsi
L’acqua avanza con una forza inarrestabile, trascinando alberi, animali e ogni traccia di vita rurale.
Il bilancio è drammatico: più di cento morti, circa 180.000 sfollati e un’economia agricola annientata.
L’Italia intera si mobilita.
L’esercito, la Croce Rossa e centinaia di volontari accorrono per portare aiuto.
Le prime operazioni di soccorso avvengono con barche e aerei militari. Anche le navi della Marina vengono inviate sul Po per evacuare gli abitanti dei villaggi più colpiti.
Molti di loro trovano rifugio in altre regioni, dando origine a un esodo silenzioso che segna la memoria collettiva del Paese.
La rinascita del Polesine
Quando le acque si ritirano, il paesaggio appare irriconoscibile: distese di fango, case crollate, bestiame morto, campi perduti.
La ricostruzione richiede anni e diventa un simbolo della rinascita italiana del dopoguerra.
Il governo avvia opere idrauliche di grande portata per rafforzare gli argini e prevenire nuove catastrofi. Ma è soprattutto la tenacia della popolazione polesana a restituire vita a quella terra ferita.
Il ricordo e la memoria
L’alluvione del Polesine resta una delle più gravi calamità naturali del Novecento italiano.
Ogni anniversario è un momento di memoria collettiva, un tributo a chi ha perso tutto e a chi ha ricostruito con coraggio.


















































































