21 settembre 1990. Muore Rosario Livatino, il giudice ragazzino.

Un giovane magistrato in terra di mafia
Rosario Livatino nasce ad Agrigento il 3 ottobre 1952.
Dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università di Palermo, intraprende la carriera in magistratura con una scelta di vita improntata alla sobrietà e al servizio dello Stato.
Non cerca visibilità, non rilascia interviste, si muove con discrezione, convinto che il compito del giudice non sia apparire, ma agire con rigore e responsabilità.
Negli anni Settanta diventa sostituto procuratore ad Agrigento e si occupa di indagini delicate che toccano la criminalità organizzata locale.
La sua fermezza e il suo metodo di lavoro, fondato su una profonda etica personale, lo distinguono sin dall’inizio.
L’impegno contro corruzione e mafia
Rosario Livatino lavora su inchieste complesse che intrecciano politica, affari e poteri mafiosi.
Affronta casi di corruzione amministrativa e indaga sul riciclaggio di denaro, mostrando una visione lucida dei meccanismi che alimentano Cosa Nostra.
Viene definito “il giudice ragazzino” per la sua giovane età, ma la sua serietà professionale conquista rispetto anche tra i colleghi più anziani.
La sua fede cristiana, vissuta con riservatezza e profondità, orienta ogni decisione e lo sostiene nel portare avanti un lavoro che sa pericoloso.
Un esempio di coraggio e giustizia
Rosario Livatino incarna un modello di magistrato che crede nella giustizia come strumento di liberazione per la società.
Non accetta scorte, affidandosi a uno stile di vita sobrio e coerente con la sua idea di servizio.
La sua figura, oggi ricordata anche dalla Chiesa cattolica, diventa simbolo di integrità e dedizione totale.
Papa Francesco lo definisce “martire della giustizia e indirettamente della fede”, riconoscendo in lui una testimonianza di rettitudine che va oltre il lavoro giudiziario.
L’agguato e il ricordo eterno
Il 21 settembre 1990, mentre percorre la strada statale Agrigento-Caltanissetta, Rosario Livatino cade in un agguato mafioso.
Ha appena 37 anni.
I sicari della Stidda lo fermano e lo uccidono con una violenza che segna la storia della lotta alla mafia in Sicilia.
I funerali si celebrano ad Agrigento con grande partecipazione popolare.
Colleghi magistrati, cittadini comuni e rappresentanti delle istituzioni rendono omaggio a un uomo che con la sua vita ha dimostrato come la giustizia non sia un concetto astratto, ma una scelta quotidiana di coraggio.
Un giovane magistrato in terra di mafia
Rosario Livatino nasce ad Agrigento il 3 ottobre 1952.
Dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università di Palermo, intraprende la carriera in magistratura con una scelta di vita improntata alla sobrietà e al servizio dello Stato.
Non cerca visibilità, non rilascia interviste, si muove con discrezione, convinto che il compito del giudice non sia apparire, ma agire con rigore e responsabilità.
Negli anni Settanta diventa sostituto procuratore ad Agrigento e si occupa di indagini delicate che toccano la criminalità organizzata locale.
La sua fermezza e il suo metodo di lavoro, fondato su una profonda etica personale, lo distinguono sin dall’inizio.
L’impegno contro corruzione e mafia
Rosario Livatino lavora su inchieste complesse che intrecciano politica, affari e poteri mafiosi.
Affronta casi di corruzione amministrativa e indaga sul riciclaggio di denaro, mostrando una visione lucida dei meccanismi che alimentano Cosa Nostra.
Viene definito “il giudice ragazzino” per la sua giovane età, ma la sua serietà professionale conquista rispetto anche tra i colleghi più anziani.
La sua fede cristiana, vissuta con riservatezza e profondità, orienta ogni decisione e lo sostiene nel portare avanti un lavoro che sa pericoloso.
Un esempio di coraggio e giustizia
Rosario Livatino incarna un modello di magistrato che crede nella giustizia come strumento di liberazione per la società.
Non accetta scorte, affidandosi a uno stile di vita sobrio e coerente con la sua idea di servizio.
La sua figura, oggi ricordata anche dalla Chiesa cattolica, diventa simbolo di integrità e dedizione totale.
Papa Francesco lo definisce “martire della giustizia e indirettamente della fede”, riconoscendo in lui una testimonianza di rettitudine che va oltre il lavoro giudiziario.
L’agguato e il ricordo eterno
Il 21 settembre 1990, mentre percorre la strada statale Agrigento-Caltanissetta, Rosario Livatino cade in un agguato mafioso.
Ha appena 37 anni.
I sicari della Stidda lo fermano e lo uccidono con una violenza che segna la storia della lotta alla mafia in Sicilia.
I funerali si celebrano ad Agrigento con grande partecipazione popolare.
Colleghi magistrati, cittadini comuni e rappresentanti delle istituzioni rendono omaggio a un uomo che con la sua vita ha dimostrato come la giustizia non sia un concetto astratto, ma una scelta quotidiana di coraggio.


















































































