29 settembre 2010. Addio a Tony Curtis, il “camaleonte” del cinema americano.

Tony Curtis, nato Bernard Schwartz il 3 giugno 1925 a New York, rappresenta una delle figure più affascinanti e contraddittorie della Hollywood del dopoguerra.
Cresciuto nella miseria del Bronx, figlio di immigrati ungheresi, trova nel cinema una via di fuga da una giovinezza segnata da dolore e precarietà.
Il suo volto da ragazzo di strada e il fisico scolpito lo rendono presto uno dei “beefcake” più amati degli anni Cinquanta, la risposta maschile alle dive da calendario come Jane Russell o Esther Williams.
Curtis trasforma la bellezza in un’arma di fascino, capace di sedurre il pubblico senza mai diventarne prigioniero.
L’incontro con Marilyn Monroe e la leggenda di “A qualcuno piace caldo”
Il successo mondiale arriva nel 1959 con “A qualcuno piace caldo”, capolavoro di Billy Wilder, dove recita accanto a Marilyn Monroe e Jack Lemmon.
Dietro le quinte del film nascono aneddoti rimasti nella storia, dal celebre episodio del divano alla scherzosa “sfida del centimetro” con Marilyn.
Curtis stesso raccontò il loro passato d’amore giovanile, durato sei mesi, quando entrambi erano agli inizi di carriera.
Rivederla dieci anni dopo sul set, confessa, fu un misto di nostalgia e dolore: “Era un’altra persona, fragile, smarrita, circondata da persone sbagliate. Nessuno ha ucciso Marilyn, è stata lei a farla finita”.
Parole che svelano la sensibilità di un uomo capace di guardare oltre la leggenda per vedere la donna.
Da “Piombo rovente” a “Spartacus”: le vette di una carriera
La carriera di Tony Curtis attraversa generi e decenni, tra noir, commedie e drammi.
Dopo l’esordio accanto a Burt Lancaster in Doppio gioco (1949), conquista la fama con Piombo rovente (1957), dove interpreta il cinico pubblicista Sidney Falco.
Un anno dopo arriva la nomination all’Oscar per La parete di fango (1958), accanto a Sidney Poitier, in un film che affronta con coraggio il tema del pregiudizio razziale.
Seguono successi come Operazione sottoveste (1959), Spartacus (1960) di Stanley Kubrick, Il grande impostore (1961) e Lo strangolatore di Boston (1968), che gli vale una nuova candidatura al Golden Globe.
Sul piccolo schermo, diventa un’icona pop con la serie Attenti a quei due, in coppia con Roger Moore.
Il “camaleonte” del cinema americano

Tony Curtis non è solo un divo: è un artista inquieto, capace di reinventarsi.
Negli ultimi anni si dedica alla pittura, espone in gallerie internazionali e continua a recitare con ironia e passione.
Dietro il sorriso da poster, c’è sempre stato il ragazzo del Bronx, sopravvissuto alla fame e al dolore, che ha imparato a cambiare pelle pur di restare vivo.
Come scrisse nella sua autobiografia, “non sono mai stato un attore, ma un uomo che ha imparato a nascondere la propria paura dietro un sorriso”.
Morte e eredità di una stella
Tony Curtis muore il 29 settembre 2010, a 85 anni, nella sua casa vicino a Las Vegas, stroncato da un arresto cardiaco.
Padre dell’attrice Jamie Lee Curtis e marito di Janet Leigh, lascia un’eredità artistica straordinaria fatta di film iconici, ruoli indimenticabili e un fascino che ancora oggi incanta.
Resta il simbolo di un’America che voleva dimenticare la guerra e credere nel sogno.
Laura Persico Pezzino
Tony Curtis, nato Bernard Schwartz il 3 giugno 1925 a New York, rappresenta una delle figure più affascinanti e contraddittorie della Hollywood del dopoguerra.
Cresciuto nella miseria del Bronx, figlio di immigrati ungheresi, trova nel cinema una via di fuga da una giovinezza segnata da dolore e precarietà.
Il suo volto da ragazzo di strada e il fisico scolpito lo rendono presto uno dei “beefcake” più amati degli anni Cinquanta, la risposta maschile alle dive da calendario come Jane Russell o Esther Williams.
Curtis trasforma la bellezza in un’arma di fascino, capace di sedurre il pubblico senza mai diventarne prigioniero.
L’incontro con Marilyn Monroe e la leggenda di “A qualcuno piace caldo”
Il successo mondiale arriva nel 1959 con “A qualcuno piace caldo”, capolavoro di Billy Wilder, dove recita accanto a Marilyn Monroe e Jack Lemmon.
Dietro le quinte del film nascono aneddoti rimasti nella storia, dal celebre episodio del divano alla scherzosa “sfida del centimetro” con Marilyn.
Curtis stesso raccontò il loro passato d’amore giovanile, durato sei mesi, quando entrambi erano agli inizi di carriera.
Rivederla dieci anni dopo sul set, confessa, fu un misto di nostalgia e dolore: “Era un’altra persona, fragile, smarrita, circondata da persone sbagliate. Nessuno ha ucciso Marilyn, è stata lei a farla finita”.
Parole che svelano la sensibilità di un uomo capace di guardare oltre la leggenda per vedere la donna.
Da “Piombo rovente” a “Spartacus”: le vette di una carriera
La carriera di Tony Curtis attraversa generi e decenni, tra noir, commedie e drammi.
Dopo l’esordio accanto a Burt Lancaster in Doppio gioco (1949), conquista la fama con Piombo rovente (1957), dove interpreta il cinico pubblicista Sidney Falco.
Un anno dopo arriva la nomination all’Oscar per La parete di fango (1958), accanto a Sidney Poitier, in un film che affronta con coraggio il tema del pregiudizio razziale.
Seguono successi come Operazione sottoveste (1959), Spartacus (1960) di Stanley Kubrick, Il grande impostore (1961) e Lo strangolatore di Boston (1968), che gli vale una nuova candidatura al Golden Globe.
Sul piccolo schermo, diventa un’icona pop con la serie Attenti a quei due, in coppia con Roger Moore.
Il “camaleonte” del cinema americano

Tony Curtis non è solo un divo: è un artista inquieto, capace di reinventarsi.
Negli ultimi anni si dedica alla pittura, espone in gallerie internazionali e continua a recitare con ironia e passione.
Dietro il sorriso da poster, c’è sempre stato il ragazzo del Bronx, sopravvissuto alla fame e al dolore, che ha imparato a cambiare pelle pur di restare vivo.
Come scrisse nella sua autobiografia, “non sono mai stato un attore, ma un uomo che ha imparato a nascondere la propria paura dietro un sorriso”.
Morte e eredità di una stella
Tony Curtis muore il 29 settembre 2010, a 85 anni, nella sua casa vicino a Las Vegas, stroncato da un arresto cardiaco.
Padre dell’attrice Jamie Lee Curtis e marito di Janet Leigh, lascia un’eredità artistica straordinaria fatta di film iconici, ruoli indimenticabili e un fascino che ancora oggi incanta.
Resta il simbolo di un’America che voleva dimenticare la guerra e credere nel sogno.
Laura Persico Pezzino


















































































