L’Ombra del Vajont: la leggenda nata dal dolore del lutto collettivo.

Il 9 ottobre 1963, un’immane tragedia si abbatte sulla valle del Vajont.
Una frana gigantesca si stacca dal Monte Toc e precipita nel bacino artificiale della diga, sollevando un’onda spaventosa che travolge Longarone e altri paesi del Bellunese.
In pochi istanti, quasi 2.000 persone perdono la vita.
Tra i sopravvissuti, il silenzio del lutto si mescola allo sgomento per ciò che resta: macerie, fango, vuoto.
Ma nei giorni successivi accade qualcosa di inspiegabile. Tra i detriti iniziano ad apparire enormi impronte.
Segni profondi nel terreno, come se una creatura colossale avesse camminato tra le rovine.
Nessuno sa dare una spiegazione. La voce si sparge e nasce una leggenda.
La nascita dell’Ombra del vajont
Gli abitanti del luogo, ancora sotto shock, cominciano a parlare di una presenza invisibile.
La chiamano “l’Ombra”. Il dolore di 2000 morti che prende forma.
Non ha volto, non ha nome, ma lascia tracce tangibili.
C’è chi sostiene di averla vista di notte, tra le macerie illuminate dalla luna.
Una figura nera, alta come una casa, che si muove lenta e silenziosa.
Non distrugge, non parla, ma osserva.
E cammina. Sempre nella stessa direzione. Verso il cuore del disastro.
La verità oltre il mistero
Con il passare del tempo, la leggenda dell’Ombra del Vajont si carica di significato.
Non è più un essere soprannaturale. Diventa qualcosa di più profondo.
L’Ombra è il dolore per un lutto condiviso stesso che prende forma.
È il lutto collettivo che si manifesta nel mondo fisico.
Ogni orma è un simbolo.
Un segno lasciato dalle quasi 2.000 anime che Longarone ha perso in una sola notte.
Un modo per restare. Per farsi sentire. Per non essere dimenticate.
L’Ombra del Vajont: una metafora potente
L’Ombra del Vajont ci ricorda che il dolore collettivo, per un lutto che travolge una intera popolazione, può assumere la forma tangibile di una leggenda.
E la leggenda, a sua volta, può essere uno strumento di memoria.
In quella valle, ciò che la scienza non può spiegare, il cuore lo riconosce.
È la sofferenza che si rifiuta di svanire. È la ferita che diventa racconto.
Così il ricordo si conserva, si trasmette e continua a vivere.
Perché finché qualcuno parlerà dell’Ombra, nessuna delle vittime del Vajont sarà mai davvero perduta.
Laura Persico Pezzino
Il 9 ottobre 1963, un’immane tragedia si abbatte sulla valle del Vajont.
Una frana gigantesca si stacca dal Monte Toc e precipita nel bacino artificiale della diga, sollevando un’onda spaventosa che travolge Longarone e altri paesi del Bellunese.
In pochi istanti, quasi 2.000 persone perdono la vita.
Tra i sopravvissuti, il silenzio del lutto si mescola allo sgomento per ciò che resta: macerie, fango, vuoto.
Ma nei giorni successivi accade qualcosa di inspiegabile. Tra i detriti iniziano ad apparire enormi impronte.
Segni profondi nel terreno, come se una creatura colossale avesse camminato tra le rovine.
Nessuno sa dare una spiegazione. La voce si sparge e nasce una leggenda.
La nascita dell’Ombra del vajont
Gli abitanti del luogo, ancora sotto shock, cominciano a parlare di una presenza invisibile.
La chiamano “l’Ombra”. Il dolore di 2000 morti che prende forma.
Non ha volto, non ha nome, ma lascia tracce tangibili.
C’è chi sostiene di averla vista di notte, tra le macerie illuminate dalla luna.
Una figura nera, alta come una casa, che si muove lenta e silenziosa.
Non distrugge, non parla, ma osserva.
E cammina. Sempre nella stessa direzione. Verso il cuore del disastro.
La verità oltre il mistero
Con il passare del tempo, la leggenda dell’Ombra del Vajont si carica di significato.
Non è più un essere soprannaturale. Diventa qualcosa di più profondo.
L’Ombra è il dolore per un lutto condiviso stesso che prende forma.
È il lutto collettivo che si manifesta nel mondo fisico.
Ogni orma è un simbolo.
Un segno lasciato dalle quasi 2.000 anime che Longarone ha perso in una sola notte.
Un modo per restare. Per farsi sentire. Per non essere dimenticate.
L’Ombra del Vajont: una metafora potente
L’Ombra del Vajont ci ricorda che il dolore collettivo, per un lutto che travolge una intera popolazione, può assumere la forma tangibile di una leggenda.
E la leggenda, a sua volta, può essere uno strumento di memoria.
In quella valle, ciò che la scienza non può spiegare, il cuore lo riconosce.
È la sofferenza che si rifiuta di svanire. È la ferita che diventa racconto.
Così il ricordo si conserva, si trasmette e continua a vivere.
Perché finché qualcuno parlerà dell’Ombra, nessuna delle vittime del Vajont sarà mai davvero perduta.
Laura Persico Pezzino

















































































