Robert Johnson, l’anima venduta al diavolo per il blues.

Dal Delta del Mississippi alla scuola della strada
Robert Johnson nasce l’8 maggio 1911 a Hazlehurst, Mississippi, in una terra segnata dal ritmo dei campi di cotone e dalle melodie che scorrono tra le comunità afroamericane.
L’infanzia si divide tra la campagna e la città di Memphis, dove apprende a leggere, scrivere e assorbe le sonorità vibranti dei quartieri popolari.
La chitarra diventa estensione delle sue mani e rifugio della sua anima.
L’incrocio e la scintilla del mito
Immaginate ora il giovanissimo Robert Johnson nella piantagione di Robinsonville a metà degli anni Venti, alle prese con il “diddley bow”. Non una vera chitarra, ma un’unica corda di metallo tesa su un’asse di legno, o addirittura sulla parete della baracca, con al limite una bottiglia o un barattolo incastrato sotto la corda stessa, per amplificare il suono. Un cominciamento tra mille ristrettezze, ma la musica di Robert, le sue canzoni, la sua maestria con la chitarra e la sua voce sarebbero entrate nella leggenda. Rimette in prospettiva la frustrazione che affligge i principianti di oggi.
Eppure, a dispetto della notorietà della sua musica, la vita di Robert Johnson è rimasta avvolta nel mistero per decenni. E in assenza di informazioni biografiche certe, si è creato il mito di un’origine soprannaturale per l’eccezionalità della sua arte. Robert, ventenne di scarso talento, sarebbe scomparso per un anno per poi riapparire come il chitarrista più dotato del Delta del Mississippi. Cos’era successo? Aveva incontrato il diavolo a un crocicchio e gli aveva consegnato la sua anima in cambio della perizia con lo strumento.

Incrocio 61-49, Clarksdale (Mississippi). Foto di Pietro Bosio.
Si diffonde la leggenda. Dietro il mito, c’è probabilmente una lunga dedizione allo studio e l’incontro con un maestro che lo guida e affina il suo talento.
Eppure, ascoltando Cross Road Blues o Hellhound on My Trail, sembra di sentire un’eco che viene da un luogo oscuro e misterioso.
In studio: lampi di arte pura
Tra il 1936 e il 1937, Robert incide ventinove brani destinati a cambiare il corso della musica americana.
Sweet Home Chicago, Love in Vain, I Believe I’ll Dust My Broom: ogni canzone è una miscela di malinconia e potenza, di ritmo incalzante e poesia viscerale.
La sua chitarra, con bassi pulsanti e linee melodiche taglienti, suona come una piccola orchestra.
Quelle registrazioni diventeranno la base del blues moderno e ispireranno giganti come Eric Clapton, i Rolling Stones e Bob Dylan.
Un patto tra mito e cultura
Il patto col diavolo, vero o presunto, è una metafora potente: il talento come dono che richiede un prezzo.
La musica di Johnson nasce dal dolore della povertà, dal desiderio di riscatto e dal folklore del Sud, dove superstizione e spiritualità si intrecciano.
Il suo blues è il grido di un’America rurale, ma anche il seme di un linguaggio musicale universale.

Murales, Clarksdale (Mississippi). Foto di Pietro Bosio
L’addio: morte e mito
Il 16 agosto 1938, vicino a Greenwood, Mississippi, Robert Johnson muore a soli 27 anni, probabilmente avvelenato.
Il funerale è semplice, ma la sua figura si scolpisce nel mito del “Club 27”, dove anni dopo approderanno altre icone del rock come Jimi Hendrix, Jim Morrison e Janis Joplin.
La sua eredità vive in ogni nota di blues e in ogni storia che ancora si racconta sugli incroci, le anime e la musica immortale, con l’eco di quel ritornello che sembra chiamarlo ancora:
“Back to the land of California, to my sweet home Chicago”.
Dal Delta del Mississippi alla scuola della strada
Robert Johnson nasce l’8 maggio 1911 a Hazlehurst, Mississippi, in una terra segnata dal ritmo dei campi di cotone e dalle melodie che scorrono tra le comunità afroamericane.
L’infanzia si divide tra la campagna e la città di Memphis, dove apprende a leggere, scrivere e assorbe le sonorità vibranti dei quartieri popolari.
La chitarra diventa estensione delle sue mani e rifugio della sua anima.
L’incrocio e la scintilla del mito
Immaginate ora il giovanissimo Robert Johnson nella piantagione di Robinsonville a metà degli anni Venti, alle prese con il “diddley bow”. Non una vera chitarra, ma un’unica corda di metallo tesa su un’asse di legno, o addirittura sulla parete della baracca, con al limite una bottiglia o un barattolo incastrato sotto la corda stessa, per amplificare il suono. Un cominciamento tra mille ristrettezze, ma la musica di Robert, le sue canzoni, la sua maestria con la chitarra e la sua voce sarebbero entrate nella leggenda. Rimette in prospettiva la frustrazione che affligge i principianti di oggi.
Eppure, a dispetto della notorietà della sua musica, la vita di Robert Johnson è rimasta avvolta nel mistero per decenni. E in assenza di informazioni biografiche certe, si è creato il mito di un’origine soprannaturale per l’eccezionalità della sua arte. Robert, ventenne di scarso talento, sarebbe scomparso per un anno per poi riapparire come il chitarrista più dotato del Delta del Mississippi. Cos’era successo? Aveva incontrato il diavolo a un crocicchio e gli aveva consegnato la sua anima in cambio della perizia con lo strumento.

Incrocio 61-49, Clarksdale (Mississippi). Foto di Pietro Bosio.
Si diffonde la leggenda. Dietro il mito, c’è probabilmente una lunga dedizione allo studio e l’incontro con un maestro che lo guida e affina il suo talento.
Eppure, ascoltando Cross Road Blues o Hellhound on My Trail, sembra di sentire un’eco che viene da un luogo oscuro e misterioso.
In studio: lampi di arte pura
Tra il 1936 e il 1937, Robert incide ventinove brani destinati a cambiare il corso della musica americana.
Sweet Home Chicago, Love in Vain, I Believe I’ll Dust My Broom: ogni canzone è una miscela di malinconia e potenza, di ritmo incalzante e poesia viscerale.
La sua chitarra, con bassi pulsanti e linee melodiche taglienti, suona come una piccola orchestra.
Quelle registrazioni diventeranno la base del blues moderno e ispireranno giganti come Eric Clapton, i Rolling Stones e Bob Dylan.
Un patto tra mito e cultura
Il patto col diavolo, vero o presunto, è una metafora potente: il talento come dono che richiede un prezzo.
La musica di Johnson nasce dal dolore della povertà, dal desiderio di riscatto e dal folklore del Sud, dove superstizione e spiritualità si intrecciano.
Il suo blues è il grido di un’America rurale, ma anche il seme di un linguaggio musicale universale.

Murales, Clarksdale (Mississippi). Foto di Pietro Bosio
L’addio: morte e mito
Il 16 agosto 1938, vicino a Greenwood, Mississippi, Robert Johnson muore a soli 27 anni, probabilmente avvelenato.
Il funerale è semplice, ma la sua figura si scolpisce nel mito del “Club 27”, dove anni dopo approderanno altre icone del rock come Jimi Hendrix, Jim Morrison e Janis Joplin.
La sua eredità vive in ogni nota di blues e in ogni storia che ancora si racconta sugli incroci, le anime e la musica immortale, con l’eco di quel ritornello che sembra chiamarlo ancora:
“Back to the land of California, to my sweet home Chicago”.


















































































