30 dicembre 2012. Muore Rita Levi Montalcini.



Venuta al mondo all’alba del ‘900 in una famiglia ebrea colta e benestante, nacque nel tempo in cui aspirare ad una “quota rosa” nel contesto maschilista dell’Università e della cultura non era un obiettivo facile. Ispirata dall’amore per la medicina e sospinta da indomita tenacia, volle privilegiare la strada della ricerca scientifica, rinunciando a costruire una propria famiglia. Nel 1936 si laureò in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti, un traguardo raggiunto in tempo prima di incappare in un nuovo e più discriminante ostacolo.
Da parte di cittadini italiani che non fossero di razza ariana, l’apogeo del fascismo non fu certo il momento storico più adatto per scegliere una carriera accademica e professionale. Le umilianti leggi razziali del 1938 avevano abolito tale pratica, lasciando presagire il resto. Alla giovane ricercatrice non rimase che l’esilio professionale, dapprima in Belgio e poi tra le assurdità di un’Europa in preda alla follia nazista, salvandosi dalla deportazione senza mai interrompere il lavoro di ricerca anche in laboratori di circostanza e operando come medico nelle file delle forze alleate. Una storia intensa e per fortuna a lieto fine. In quei tragici anni la vita della giovane donna, del medico e della scienziata, è stata quanto meno rischiosa: occorreva nascondersi, salvare la preziosa intelligenza della quale avrebbero avuto bisogno i posteri.
Dopo le macerie del conflitto mondiale, e con “molta fortuna” per sua stessa ammissione, ha potuto finalmente ampliare gli spazi per la curiosità verso i misteri di funzionamento della mente e del cervello, accolta negli Stati Uniti per proseguire quella ricerca mai interrotta neppure in tempo di guerra. Una missione insita, sospinta da una lucida intuizione in quanto “facoltà concessa alla mente dell’homo sapiens”, come essa stessa amava ricordare. Studiosa acuta, quanto personaggio elegante e signorile, non poteva essere che onorata in ogni dove per le sue innate doti, apprezzata figura presso le università di mezzo mondo, quanto persona amata e benvoluta dalla gente di ogni estrazione sociale.
Rita Levi-Montalcini ha salutato la sua straordinaria storia ed il nostro pianeta il penultimo giorno dell’anno del Signore 2012, dopo aver percorso una vita straordinaria nei tempi, nei modi e nei luoghi, nei tanti ed insigni risultati raggiunti, arrivando molto in là al giorno del fatale appuntamento. Tagliare il traguardo consegnando ai posteri una eredità per la ricerca e per la solidarietà, mandarlo ad effetto con un cesto di lauree e con segni di stima raccolti in ogni angolo del mondo, icona di un’Italia generosa che la volle senatrice a vita, non è fortuna per tutti. Farlo a 103 anni di età lascia, a mio modo di vedere, anche il giusto tempo per abituarsi all’idea.

Per quanto il Creatore, a suo tempo si sia dato da fare con scientifica perizia e con immaginazione, oggi possiamo ammettere che, nella vastità del progetto, almeno umanamente è inciampato in qualche minuto difetto. Mi piace pensare che, sebbene la scienziata si sia sempre proclamata atea, l’ipotetico buon Dio abbia mostrato d’essere anche un Signor galantuomo che non ha rifiutato un po’ di spazio-tempo in cui collaborare con una così amabile e intelligente signora. C’è sempre da imparare nella vita, chissà nell’aldilà…
Carlo Mariano Sartoris


Venuta al mondo all’alba del ‘900 in una famiglia ebrea colta e benestante, nacque nel tempo in cui aspirare ad una “quota rosa” nel contesto maschilista dell’Università e della cultura non era un obiettivo facile. Ispirata dall’amore per la medicina e sospinta da indomita tenacia, volle privilegiare la strada della ricerca scientifica, rinunciando a costruire una propria famiglia. Nel 1936 si laureò in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti, un traguardo raggiunto in tempo prima di incappare in un nuovo e più discriminante ostacolo.
Da parte di cittadini italiani che non fossero di razza ariana, l’apogeo del fascismo non fu certo il momento storico più adatto per scegliere una carriera accademica e professionale. Le umilianti leggi razziali del 1938 avevano abolito tale pratica, lasciando presagire il resto. Alla giovane ricercatrice non rimase che l’esilio professionale, dapprima in Belgio e poi tra le assurdità di un’Europa in preda alla follia nazista, salvandosi dalla deportazione senza mai interrompere il lavoro di ricerca anche in laboratori di circostanza e operando come medico nelle file delle forze alleate. Una storia intensa e per fortuna a lieto fine. In quei tragici anni la vita della giovane donna, del medico e della scienziata, è stata quanto meno rischiosa: occorreva nascondersi, salvare la preziosa intelligenza della quale avrebbero avuto bisogno i posteri.
Dopo le macerie del conflitto mondiale, e con “molta fortuna” per sua stessa ammissione, ha potuto finalmente ampliare gli spazi per la curiosità verso i misteri di funzionamento della mente e del cervello, accolta negli Stati Uniti per proseguire quella ricerca mai interrotta neppure in tempo di guerra. Una missione insita, sospinta da una lucida intuizione in quanto “facoltà concessa alla mente dell’homo sapiens”, come essa stessa amava ricordare. Studiosa acuta, quanto personaggio elegante e signorile, non poteva essere che onorata in ogni dove per le sue innate doti, apprezzata figura presso le università di mezzo mondo, quanto persona amata e benvoluta dalla gente di ogni estrazione sociale.
Rita Levi-Montalcini ha salutato la sua straordinaria storia ed il nostro pianeta il penultimo giorno dell’anno del Signore 2012, dopo aver percorso una vita straordinaria nei tempi, nei modi e nei luoghi, nei tanti ed insigni risultati raggiunti, arrivando molto in là al giorno del fatale appuntamento. Tagliare il traguardo consegnando ai posteri una eredità per la ricerca e per la solidarietà, mandarlo ad effetto con un cesto di lauree e con segni di stima raccolti in ogni angolo del mondo, icona di un’Italia generosa che la volle senatrice a vita, non è fortuna per tutti. Farlo a 103 anni di età lascia, a mio modo di vedere, anche il giusto tempo per abituarsi all’idea.

Per quanto il Creatore, a suo tempo si sia dato da fare con scientifica perizia e con immaginazione, oggi possiamo ammettere che, nella vastità del progetto, almeno umanamente è inciampato in qualche minuto difetto. Mi piace pensare che, sebbene la scienziata si sia sempre proclamata atea, l’ipotetico buon Dio abbia mostrato d’essere anche un Signor galantuomo che non ha rifiutato un po’ di spazio-tempo in cui collaborare con una così amabile e intelligente signora. C’è sempre da imparare nella vita, chissà nell’aldilà…
Carlo Mariano Sartoris


















































































