È morto Gigi Radice: con lui il Torino vinse l’ultimo Scudetto.

7 Dicembre 2018 - 18:07--Lutto-

Il calcio olandese del Torino campione d’Italia del 1976 è ancora oggi ricordato come uno dei modelli massimi di gioco espressi da una squadra italiana. Il tecnico che creò quella squadra, Gigi Radice, è morto oggi all’età di 83 anni. Da tempo era malato di Alzheimer. Il Torino è stato l’apice della sua carriera di allenatore, ma i consensi non mancarono anche nelle esperienze, tra le altre, con Inter, Milan, Bologna, Roma e Fiorentina. Come calciatore ha militato nel Milan, Triestina e Padova. Prima che un infortunio al ginocchio ne decretasse la fine prematura della carriera fece in tempo a conquistare con il Milan la prima Coppa dei Campioni vinta da una squadra italiana nel 1963, anche se nella finale contro il Benfica di Eusebio non giocò. In nazionale fu convocato per il Mondiale in Cile nel 1962, giocando contro Germania Ovest e Svizzera, ma saltando la corrida contro i padroni di casa che decretò l’eliminazione degli azzurri. Sempre all’avanguardia, anche con squadre di medio cabotaggio come ad esempio la Roma della stagione 1989/90 (una delle ultime con Dino Viola presidente) oppure con il Bologna del 1980/81. In quest’ultimo caso seppe risollevare un ambiente scosso dal calcioscommesse della stagione precedente, azzerando in fretta la penalizzazione di 5 punti fino a chiudere al settimo posto. Era sesto anche con la Fiorentina della stagione 1992/93, quando fu esonerato dall’allora presidente Cecchi Gori dopo una lite: la squadra si disunì finendo per retrocedere.Il capolavoro, come detto, arrivò nel 1976. Il Torino che vinceva si era perso 27 anni prima nel tragico schianto di Superga. Due anni prima, nel 1974, una squadra aveva incantato il mondo con il calcio totale. Era l’Olanda di Cruyff. Radice si ispirò molto a quella squadra: la marcatura a zona, il pressing in ogni parte del campo. Ebbe poi la bravura e la fortuna di trovare gli interpreti adeguati. “Datemi uno che para e uno che la butta dentro, al resto ci penso io” era una massima di Fulvio Bernardini, un altro innovatore del nostro calcio. Ma Radice in quel 1976 aveva ancora di più. Uno che parava saltando da un palo all’altro (l’alias Giaguaro era tutto un programma) come Luciano Castellini, addirittura due che la buttavano dentro, i gemelli del gol Graziani e Pulici. E inoltre, un talento purissimo del centrocampo come Eraldo Pecci, un ragionatore come Renato Zaccarelli ed un’ala che trovava spazio per il cross lì dove per gli altri questo era precluso, Claudio Sala. Proprio quest’ultimo è stato uno dei primi a ricordarlo: “Radice è stato un innovatore, un grandissimo allenatore che ha cambiato il calcio italiano e ha regalato una delle più grandi soddisfazioni al Torino“. La Juventus, che pure era formata da grandi interpreti, soffriva molto il famoso tremendismo granata. In quella stagione non bastarono ai bianconeri 5 punti di vantaggio (la vittoria valeva 2) alla 21esima giornata. Tre sconfitte consecutive, una delle quali nel derby: fu sorpasso, e il Torino non mollò più fino all’ultimo. La stagione seguente poteva essere un grande bis, ma incredibilmente, nonostante i 50 punti fatti sui 60 disponibili, il tricolore non arrivò per un punto. Ed ancora oggi molti tifosi granata ricordano un gol fantasma non dato al Toro al Ferraris contro la Sampdoria in una giornata di fango e pioggia. Chissà, ci fosse stato già allora il Var…

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Il calcio olandese del Torino campione d’Italia del 1976 è ancora oggi ricordato come uno dei modelli massimi di gioco espressi da una squadra italiana. Il tecnico che creò quella squadra, Gigi Radice, è morto oggi all’età di 83 anni. Da tempo era malato di Alzheimer. Il Torino è stato l’apice della sua carriera di allenatore, ma i consensi non mancarono anche nelle esperienze, tra le altre, con Inter, Milan, Bologna, Roma e Fiorentina. Come calciatore ha militato nel Milan, Triestina e Padova. Prima che un infortunio al ginocchio ne decretasse la fine prematura della carriera fece in tempo a conquistare con il Milan la prima Coppa dei Campioni vinta da una squadra italiana nel 1963, anche se nella finale contro il Benfica di Eusebio non giocò. In nazionale fu convocato per il Mondiale in Cile nel 1962, giocando contro Germania Ovest e Svizzera, ma saltando la corrida contro i padroni di casa che decretò l’eliminazione degli azzurri. Sempre all’avanguardia, anche con squadre di medio cabotaggio come ad esempio la Roma della stagione 1989/90 (una delle ultime con Dino Viola presidente) oppure con il Bologna del 1980/81. In quest’ultimo caso seppe risollevare un ambiente scosso dal calcioscommesse della stagione precedente, azzerando in fretta la penalizzazione di 5 punti fino a chiudere al settimo posto. Era sesto anche con la Fiorentina della stagione 1992/93, quando fu esonerato dall’allora presidente Cecchi Gori dopo una lite: la squadra si disunì finendo per retrocedere.Il capolavoro, come detto, arrivò nel 1976. Il Torino che vinceva si era perso 27 anni prima nel tragico schianto di Superga. Due anni prima, nel 1974, una squadra aveva incantato il mondo con il calcio totale. Era l’Olanda di Cruyff. Radice si ispirò molto a quella squadra: la marcatura a zona, il pressing in ogni parte del campo. Ebbe poi la bravura e la fortuna di trovare gli interpreti adeguati. “Datemi uno che para e uno che la butta dentro, al resto ci penso io” era una massima di Fulvio Bernardini, un altro innovatore del nostro calcio. Ma Radice in quel 1976 aveva ancora di più. Uno che parava saltando da un palo all’altro (l’alias Giaguaro era tutto un programma) come Luciano Castellini, addirittura due che la buttavano dentro, i gemelli del gol Graziani e Pulici. E inoltre, un talento purissimo del centrocampo come Eraldo Pecci, un ragionatore come Renato Zaccarelli ed un’ala che trovava spazio per il cross lì dove per gli altri questo era precluso, Claudio Sala. Proprio quest’ultimo è stato uno dei primi a ricordarlo: “Radice è stato un innovatore, un grandissimo allenatore che ha cambiato il calcio italiano e ha regalato una delle più grandi soddisfazioni al Torino“. La Juventus, che pure era formata da grandi interpreti, soffriva molto il famoso tremendismo granata. In quella stagione non bastarono ai bianconeri 5 punti di vantaggio (la vittoria valeva 2) alla 21esima giornata. Tre sconfitte consecutive, una delle quali nel derby: fu sorpasso, e il Torino non mollò più fino all’ultimo. La stagione seguente poteva essere un grande bis, ma incredibilmente, nonostante i 50 punti fatti sui 60 disponibili, il tricolore non arrivò per un punto. Ed ancora oggi molti tifosi granata ricordano un gol fantasma non dato al Toro al Ferraris contro la Sampdoria in una giornata di fango e pioggia. Chissà, ci fosse stato già allora il Var…

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