“Accabadora” di Michela Murgia: il simbolismo della morte.

accabadora michela murgia

Il romanzo “Accabadora” di Michela Murgia, vincitore del Premio Campiello nel 2010, ha introdotto un vasto pubblico a una figura affascinante e misteriosa della tradizione sarda: l’accabadora, ovvero “colei che finisce”.

Questa figura, a metà tra mito e realtà, è una donna che, per antica tradizione, ha il compito di porre fine alle sofferenze dei moribondi quando la morte tarda ad arrivare.

Il romanzo, ambientato in un piccolo paese immaginario della Sardegna, ci narra la storia di Tzia Bonaria Urrai, un’anziana sarta che di notte si trasforma in una accabadora, e della sua figlia adottiva, Maria Listru. L’opera va ben oltre la semplice narrazione di un rito antico, esplorando temi profondi come la pietà, l’eutanasia, la maternità e, soprattutto, il significato simbolico della morte.

 La morte come atto di pietà e rispetto

Nel mondo descritto da Michela Murgia nel romanzo “Accabadora”, la morte non è vista solo come una fine, ma come un passaggio che deve avvenire con dignità.

L’accabadora non è una figura maligna o un’assassina, ma piuttosto una “madre compassionevole” che, con il suo gesto, libera un’anima dal suo corpo sofferente.

La morte che essa porta è un atto di pietà, un gesto di amore che allevia il dolore e non un’imposizione.

Il testo evidenzia come la comunità locale rispetti e accetti il ruolo dell’accabadora, riconoscendo in essa una figura necessaria per mantenere l’ordine naturale delle cose e assicurare una morte serena.

Questo atto, sebbene possa essere considerato controverso, nel contesto del romanzo è profondamente radicato in un codice etico e morale basato sul rispetto per la vita e sulla dignità della persona. La morte, quindi, smette di essere un tabù per diventare un atto rituale e sacro, parte integrante del ciclo della vita.

Il legame tra vita e morte: maternità e fine

Michela Murgia esplora sapientemente il legame indissolubile tra la vita e la morte. L’accabadora, nella sua funzione di “colei che finisce”, è spesso associata a una figura materna. Tzia Bonaria, la protagonista, è una sarta che “cuce” abiti per i vivi e, con il suo gesto, “ricuce” il destino dei moribondi. Il suo ruolo di madre adottiva di Maria è un altro elemento che rinforza questa dualità. L’atto di dare la vita e quello di porre fine alla sofferenza sono visti come due facce della stessa medaglia: entrambi sono gesti di profondo amore e responsabilità. La morte, dunque, non è la fine assoluta, ma un momento di transizione che necessita di cura e attenzione, proprio come la nascita. Il romanzo ci invita a riflettere sul fatto che, per certi aspetti, l’accabadora è anche una “levatrice” al contrario, che aiuta l’anima a nascere in un’altra dimensione.

Accettazione e libertà: la morte come scelta

Un altro aspetto fondamentale del significato simbolico della morte nel romanzo è l’idea di accettazione. I moribondi che ricevono la visita dell’accabadora non sono vittime, ma spesso hanno espresso, tacitamente o esplicitamente, il desiderio di porre fine al proprio tormento. Il gesto finale, dunque, non è un’azione unilaterale, ma il compimento di una volontà, un atto di libertà. Questo concetto eleva la morte da un evento passivo a una scelta consapevole, ripristinando la dignità del moribondo. “Accabadora” ci spinge a considerare la morte non solo come un destino ineluttabile, ma come un momento in cui l’essere umano può ancora esercitare la propria volontà e trovare pace. La “morte dolce”, come viene definita, è l’ultima forma di amore e rispetto che si può offrire a chi non ha più speranze di guarigione.

Nel secondo anniversario della morte, avvenuta il 10 agosto 2023, TGFuneral24.it vuole ricordare Michela Murgia grande donna, grande scrittrice ed esploratrice dei sentimenti umani.

Il 10 agosto 2025 segna il secondo anniversario dalla scomparsa di Michela Murgia. TGFuneral24 desidera rendere omaggio a una donna straordinaria, una scrittrice di talento e un’esploratrice instancabile dei sentimenti umani.

Laura Persico Pezzino

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“Accabadora” di Michela Murgia: il simbolismo della morte.

Il romanzo “Accabadora” di Michela Murgia, vincitore del Premio Campiello nel 2010, ha introdotto un vasto pubblico a una figura affascinante e misteriosa della tradizione sarda: l’accabadora, ovvero “colei che finisce”.

Questa figura, a metà tra mito e realtà, è una donna che, per antica tradizione, ha il compito di porre fine alle sofferenze dei moribondi quando la morte tarda ad arrivare.

Il romanzo, ambientato in un piccolo paese immaginario della Sardegna, ci narra la storia di Tzia Bonaria Urrai, un’anziana sarta che di notte si trasforma in una accabadora, e della sua figlia adottiva, Maria Listru. L’opera va ben oltre la semplice narrazione di un rito antico, esplorando temi profondi come la pietà, l’eutanasia, la maternità e, soprattutto, il significato simbolico della morte.

 La morte come atto di pietà e rispetto

Nel mondo descritto da Michela Murgia nel romanzo “Accabadora”, la morte non è vista solo come una fine, ma come un passaggio che deve avvenire con dignità.

L’accabadora non è una figura maligna o un’assassina, ma piuttosto una “madre compassionevole” che, con il suo gesto, libera un’anima dal suo corpo sofferente.

La morte che essa porta è un atto di pietà, un gesto di amore che allevia il dolore e non un’imposizione.

Il testo evidenzia come la comunità locale rispetti e accetti il ruolo dell’accabadora, riconoscendo in essa una figura necessaria per mantenere l’ordine naturale delle cose e assicurare una morte serena.

Questo atto, sebbene possa essere considerato controverso, nel contesto del romanzo è profondamente radicato in un codice etico e morale basato sul rispetto per la vita e sulla dignità della persona. La morte, quindi, smette di essere un tabù per diventare un atto rituale e sacro, parte integrante del ciclo della vita.

Il legame tra vita e morte: maternità e fine

Michela Murgia esplora sapientemente il legame indissolubile tra la vita e la morte. L’accabadora, nella sua funzione di “colei che finisce”, è spesso associata a una figura materna. Tzia Bonaria, la protagonista, è una sarta che “cuce” abiti per i vivi e, con il suo gesto, “ricuce” il destino dei moribondi. Il suo ruolo di madre adottiva di Maria è un altro elemento che rinforza questa dualità. L’atto di dare la vita e quello di porre fine alla sofferenza sono visti come due facce della stessa medaglia: entrambi sono gesti di profondo amore e responsabilità. La morte, dunque, non è la fine assoluta, ma un momento di transizione che necessita di cura e attenzione, proprio come la nascita. Il romanzo ci invita a riflettere sul fatto che, per certi aspetti, l’accabadora è anche una “levatrice” al contrario, che aiuta l’anima a nascere in un’altra dimensione.

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Un altro aspetto fondamentale del significato simbolico della morte nel romanzo è l’idea di accettazione. I moribondi che ricevono la visita dell’accabadora non sono vittime, ma spesso hanno espresso, tacitamente o esplicitamente, il desiderio di porre fine al proprio tormento. Il gesto finale, dunque, non è un’azione unilaterale, ma il compimento di una volontà, un atto di libertà. Questo concetto eleva la morte da un evento passivo a una scelta consapevole, ripristinando la dignità del moribondo. “Accabadora” ci spinge a considerare la morte non solo come un destino ineluttabile, ma come un momento in cui l’essere umano può ancora esercitare la propria volontà e trovare pace. La “morte dolce”, come viene definita, è l’ultima forma di amore e rispetto che si può offrire a chi non ha più speranze di guarigione.

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