Eutanasia dei paesi: l’Italia che dimentica i suoi borghi.

L’origine del termine e il significato simbolico
Gli antichi Greci chiamavano euthanatos la “buona morte”: un passaggio sereno, accompagnato e privo di sofferenze.
Oggi, lo stesso termine sembra descrivere metaforicamente il destino che il Governo italiano sta riservando a molti piccoli comuni e borghi, specialmente del Mezzogiorno.
Un’eutanasia silenziosa dei paesi, dove la marginalità territoriale e il declino demografico vengono accettati come inevitabili.
Il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne
Il 9 aprile scorso, presso il Dipartimento per le Politiche di Coesione e per il Sud, è stato approvato il nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne.
Un documento che avrebbe dovuto affrontare le cause dello spopolamento, dell’invecchiamento e della perdita di servizi nei territori periferici.
Ma il piano, approvato senza un reale confronto con i territori, si limita a recepire le analisi del CNEL e del CENSIS, classificando i comuni in base a parametri demografici, economici e infrastrutturali.
Il risultato è un quadro diviso tra “aree forti” e “aree deboli”, tra chi è considerato salvabile e chi destinato a una lenta scomparsa.
La classificazione dell’“irreversibile”
Secondo il Piano, i comuni delle aree interne rientrano in quattro categorie: da quelli dove è possibile invertire la tendenza allo spopolamento, a quelli per cui si prevede un “declino irreversibile”.
Quest’ultimo termine, oltre a essere disumanizzante, tradisce una visione priva di sensibilità storica e culturale.
Utilizzare gli stessi parametri economici che hanno marginalizzato questi territori significa condannarli nuovamente, anziché comprenderne la specificità e il potenziale di rinascita.
Molti di questi paesi, infatti, non mancano di risorse, ma di politiche adeguate e di attenzione istituzionale.
Il Sud come vittima designata
Le aree considerate “irreversibili” si concentrano quasi interamente nel Sud: dai Monti Sibillini fino alla Sicilia e alla Sardegna.
Si tratta di una mappa che fotografa e consolida le disuguaglianze territoriali e sociali, negando di fatto la speranza di rigenerazione.
Il documento parla di “accompagnamento al declino”, una formula che suona come un requiem per intere comunità.
La ribellione dei territori
Contro questa logica di rassegnazione, diversi comuni si stanno mobilitando.
A Pietramontecorvino, nel cuore della Daunia, durante la Settimana Identitaria, è nata la proposta di una mobilitazione nazionale.
L’obiettivo è far approvare in tutti i consigli comunali un ordine del giorno che rifiuti l’eutanasia dei paesi e chieda politiche di rilancio reale per le aree interne.
Come ricorda l’antropologo Vito Teti, chi decide “non sa cosa è un paese, non vede la resistenza, la fatica, la speranza di chi resta o sogna di tornare”.
Eppure, proprio in questi luoghi dimenticati sopravvivono la memoria, l’identità e il futuro possibile dell’Italia.
L’eutanasia dei paesi non deve diventare una scelta politica mascherata da strategia economica.
I piccoli comuni sono presidi di democrazia, cultura e umanità: non chiedono compassione, ma possibilità.
Lasciarli morire significherebbe amputare l’anima stessa del Paese.
Laura Persico Pezzino
L’origine del termine e il significato simbolico
Gli antichi Greci chiamavano euthanatos la “buona morte”: un passaggio sereno, accompagnato e privo di sofferenze.
Oggi, lo stesso termine sembra descrivere metaforicamente il destino che il Governo italiano sta riservando a molti piccoli comuni e borghi, specialmente del Mezzogiorno.
Un’eutanasia silenziosa dei paesi, dove la marginalità territoriale e il declino demografico vengono accettati come inevitabili.
Il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne
Il 9 aprile scorso, presso il Dipartimento per le Politiche di Coesione e per il Sud, è stato approvato il nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne.
Un documento che avrebbe dovuto affrontare le cause dello spopolamento, dell’invecchiamento e della perdita di servizi nei territori periferici.
Ma il piano, approvato senza un reale confronto con i territori, si limita a recepire le analisi del CNEL e del CENSIS, classificando i comuni in base a parametri demografici, economici e infrastrutturali.
Il risultato è un quadro diviso tra “aree forti” e “aree deboli”, tra chi è considerato salvabile e chi destinato a una lenta scomparsa.
La classificazione dell’“irreversibile”
Secondo il Piano, i comuni delle aree interne rientrano in quattro categorie: da quelli dove è possibile invertire la tendenza allo spopolamento, a quelli per cui si prevede un “declino irreversibile”.
Quest’ultimo termine, oltre a essere disumanizzante, tradisce una visione priva di sensibilità storica e culturale.
Utilizzare gli stessi parametri economici che hanno marginalizzato questi territori significa condannarli nuovamente, anziché comprenderne la specificità e il potenziale di rinascita.
Molti di questi paesi, infatti, non mancano di risorse, ma di politiche adeguate e di attenzione istituzionale.
Il Sud come vittima designata
Le aree considerate “irreversibili” si concentrano quasi interamente nel Sud: dai Monti Sibillini fino alla Sicilia e alla Sardegna.
Si tratta di una mappa che fotografa e consolida le disuguaglianze territoriali e sociali, negando di fatto la speranza di rigenerazione.
Il documento parla di “accompagnamento al declino”, una formula che suona come un requiem per intere comunità.
La ribellione dei territori
Contro questa logica di rassegnazione, diversi comuni si stanno mobilitando.
A Pietramontecorvino, nel cuore della Daunia, durante la Settimana Identitaria, è nata la proposta di una mobilitazione nazionale.
L’obiettivo è far approvare in tutti i consigli comunali un ordine del giorno che rifiuti l’eutanasia dei paesi e chieda politiche di rilancio reale per le aree interne.
Come ricorda l’antropologo Vito Teti, chi decide “non sa cosa è un paese, non vede la resistenza, la fatica, la speranza di chi resta o sogna di tornare”.
Eppure, proprio in questi luoghi dimenticati sopravvivono la memoria, l’identità e il futuro possibile dell’Italia.
L’eutanasia dei paesi non deve diventare una scelta politica mascherata da strategia economica.
I piccoli comuni sono presidi di democrazia, cultura e umanità: non chiedono compassione, ma possibilità.
Lasciarli morire significherebbe amputare l’anima stessa del Paese.
Laura Persico Pezzino


















































































