Gli scienziati ridanno voce alla mummia Nesyamun.

Un gemito dal passato: la voce ricreata grazie alla tecnologia
Per la prima volta nella storia, la voce di un uomo morto tremila anni fa è stata parzialmente riportata in vita grazie alla tecnologia.
Protagonista di questo straordinario esperimento è Nesyamun, sacerdote e scriba vissuto durante il regno di Ramses XI (1099-1069 a.C.) nell’antico Egitto.
Il suo corpo mummificato, oggi custodito al Leeds City Museum, ha permesso a un team di scienziati britannici di ricostruire il tratto vocale utilizzando scansioni tomografiche (CT scan) e stampa 3D.
Il suono ottenuto e la tecnologia usata
Il risultato di questo progetto innovativo è un frammento audio, una singola emissione vocale descritta come “un gemito”, “una lunga esclamazione simile a meh” o un suono tra bed e bad.
Per generarlo, gli studiosi hanno realizzato una replica 3D del tratto vocale di Nesyamun e l’hanno collegata a un sintetizzatore chiamato Vocal Tract Organ.
Secondo David Howard, professore di fonetica alla Royal Holloway University, il suono rappresenta ciò che Nesyamun avrebbe potuto emettere se fosse tornato in vita nella sua bara.
Le limitazioni, come la posizione supina del corpo e la perdita della massa muscolare della lingua, hanno però ristretto il risultato a un solo fonema.
La voce come ponte con l’aldilà
Sulla bara di Nesyamun è inciso il desiderio di “parlare agli dèi anche nell’aldilà”.
Con questo esperimento, la scienza moderna ha simbolicamente esaudito quel desiderio, restituendo – seppur in forma parziale – una voce al passato.
Come sottolinea John Schofield, archeologo e coautore dello studio pubblicato su Scientific Reports, “quando i visitatori incontrano il passato è quasi sempre un’esperienza visiva.
Ma la voce è qualcosa di intimo e personale, capace di cambiare completamente il nostro modo di percepire l’antichità.”
Tra innovazione scientifica e dilemmi etici
Non tutti gli studiosi, però, applaudono senza riserve.
Kara Cooney, egittologa dell’UCLA, invita alla cautela: ricostruire l’aspetto o la voce di un individuo antico comporta sempre supposizioni e interpretazioni che possono rispecchiare pregiudizi culturali inconsci.
L’entusiasmo per l’innovazione tecnologica deve quindi essere accompagnato da una riflessione critica sul ruolo dell’archeologia sperimentale nella rappresentazione del passato.
Una nuova frontiera per l’archeologia
L’esperimento condotto su Nesyamun segna una tappa importante nella ricerca storico-scientifica.
Non si tratta solo di un’impresa tecnologica, ma di una nuova modalità di dialogo tra passato e presente, in cui la voce può diventare una nuova chiave per umanizzare la storia.
Forse, in futuro, potremo ascoltare interi discorsi ricostruiti da resti vocali antichi. Per ora, abbiamo solo un gemito.
Ma anche un gemito, dopo tremila anni di silenzio, può dire molto.
Un gemito dal passato: la voce ricreata grazie alla tecnologia
Per la prima volta nella storia, la voce di un uomo morto tremila anni fa è stata parzialmente riportata in vita grazie alla tecnologia.
Protagonista di questo straordinario esperimento è Nesyamun, sacerdote e scriba vissuto durante il regno di Ramses XI (1099-1069 a.C.) nell’antico Egitto.
Il suo corpo mummificato, oggi custodito al Leeds City Museum, ha permesso a un team di scienziati britannici di ricostruire il tratto vocale utilizzando scansioni tomografiche (CT scan) e stampa 3D.
Il suono ottenuto e la tecnologia usata
Il risultato di questo progetto innovativo è un frammento audio, una singola emissione vocale descritta come “un gemito”, “una lunga esclamazione simile a meh” o un suono tra bed e bad.
Per generarlo, gli studiosi hanno realizzato una replica 3D del tratto vocale di Nesyamun e l’hanno collegata a un sintetizzatore chiamato Vocal Tract Organ.
Secondo David Howard, professore di fonetica alla Royal Holloway University, il suono rappresenta ciò che Nesyamun avrebbe potuto emettere se fosse tornato in vita nella sua bara.
Le limitazioni, come la posizione supina del corpo e la perdita della massa muscolare della lingua, hanno però ristretto il risultato a un solo fonema.
La voce come ponte con l’aldilà
Sulla bara di Nesyamun è inciso il desiderio di “parlare agli dèi anche nell’aldilà”.
Con questo esperimento, la scienza moderna ha simbolicamente esaudito quel desiderio, restituendo – seppur in forma parziale – una voce al passato.
Come sottolinea John Schofield, archeologo e coautore dello studio pubblicato su Scientific Reports, “quando i visitatori incontrano il passato è quasi sempre un’esperienza visiva.
Ma la voce è qualcosa di intimo e personale, capace di cambiare completamente il nostro modo di percepire l’antichità.”
Tra innovazione scientifica e dilemmi etici
Non tutti gli studiosi, però, applaudono senza riserve.
Kara Cooney, egittologa dell’UCLA, invita alla cautela: ricostruire l’aspetto o la voce di un individuo antico comporta sempre supposizioni e interpretazioni che possono rispecchiare pregiudizi culturali inconsci.
L’entusiasmo per l’innovazione tecnologica deve quindi essere accompagnato da una riflessione critica sul ruolo dell’archeologia sperimentale nella rappresentazione del passato.
Una nuova frontiera per l’archeologia
L’esperimento condotto su Nesyamun segna una tappa importante nella ricerca storico-scientifica.
Non si tratta solo di un’impresa tecnologica, ma di una nuova modalità di dialogo tra passato e presente, in cui la voce può diventare una nuova chiave per umanizzare la storia.
Forse, in futuro, potremo ascoltare interi discorsi ricostruiti da resti vocali antichi. Per ora, abbiamo solo un gemito.
Ma anche un gemito, dopo tremila anni di silenzio, può dire molto.



















































































