Il lutto per un animale è di “serie B”? Ecco perché no.

Il lutto per un animale è spesso considerato “di serie B”, ma il dolore è reale e profondo.
Ecco perché merita rispetto, ascolto e piena dignità affettiva.
“Cos’è quella faccia da funerale? Ti è morto il gatto?”
A quanti non è capitato, almeno una volta nella vita, di sentirsi fare una domanda del genere. Come se la morte di un gatto fosse di per sé un fatto esilarante, un pretesto per deridere. Come se il dolore potesse essere classificabile: umani sì, animali no.
Esiste un dolore di serie A ed uno di serie B? E chi lo stabilisce? In base a quali criteri si può definire qual è quello omologato e legittimo da quello falso?
Se è vero che il lutto è uno dei grandi tabù di alcune società, quello legato ai propri animali può tranquillamente essere considerato un tabù al quadrato. La società non ammette il dolore e il pianto per situazioni non omologate ai suoi schemi, come se i sentimenti potessero essere incasellati.
Il lutto negato
Il lutto, in quanto tale, non è un’emozione singola, ma un processo psicologico complesso che coinvolge identità, memoria, corpo, relazioni e significati. Non è lineare, non è uguale per tutti e non “passa da solo”. Il dolore causato dal lutto è una risposta naturale a un cambiamento innaturale che comporta la fine di un legame affettivo. Non piangiamo solo chi è morto, ma piangiamo per ciò che quell’affetto rappresentava nella nostra vita.
Il dolore è così profondo perché la perdita spezza una struttura interna che, in quel legame, trovava stabilità e affetto. Questo vale a prescindere dal soggetto al quale siamo legati ed è connesso alla profondità di quello stesso legame. Non è dimostrato né dimostrabile che alcuni legami siano più profondi di altri, per esempio l’amore verso la propria mamma, verso il papà o verso i propri figli. Non c’è una classifica di omologazione.
Perdita, mancanza e vuoto dell’anima
Quando viene a mancare il destinatario del nostro affetto, il dolore ci travolge, ci annienta, ci toglie il fiato. Anche se si tratta di un animale. Per molte persone l’animale di casa, o il pet, come dicono gli anglofoni, è parte integrante della famiglia, membro indispensabile e fonte di affetto incredibile. Per alcuni diventa “figlio”, quel figlio che non hai più o che non hai mai avuto. Diventa il compagno di vita.
Dunque, in questi casi, saremmo di fronte a un sentimento meno importante? Immaginario?
Recentemente, parlando di questo, mi è stato chiesto se non ritengo esagerato questo attaccamento a un animale. Chi ha fatto la domanda ha quindi sottolineato come nella società di oggi alcuni equiparino gli animali “addirittura” ai propri figli.
Al di là della pochezza di empatia e della presunzione innata del soggetto che mi ha fatto questa domanda, quel “addirittura” mi ha fatto riflettere su quanta cultura si debba ancora fare in questa direzione, affinché chi soffre perché è deceduto il suo amore peloso (o pennuto o squamato) non si senta delegittimato o sbagliato, ma possa avviare i processi di elaborazione del lutto senza nascondersi e, se necessario, sia libero di chiedere un sostegno ed ottenerlo.
L’Amore – quello con la A maiuscola – è un dono della vita. E alla vita non importa verso chi dirigi il tuo cuore.
Quindi, alla domanda iniziale, rispondiamo serenamente: “Sì, sono triste perché è morta la mia piccola Luce ed ha lasciato un vuoto profondo”.
Giovanna Gay
Il lutto per un animale è spesso considerato “di serie B”, ma il dolore è reale e profondo.
Ecco perché merita rispetto, ascolto e piena dignità affettiva.
“Cos’è quella faccia da funerale? Ti è morto il gatto?”
A quanti non è capitato, almeno una volta nella vita, di sentirsi fare una domanda del genere. Come se la morte di un gatto fosse di per sé un fatto esilarante, un pretesto per deridere. Come se il dolore potesse essere classificabile: umani sì, animali no.
Esiste un dolore di serie A ed uno di serie B? E chi lo stabilisce? In base a quali criteri si può definire qual è quello omologato e legittimo da quello falso?
Se è vero che il lutto è uno dei grandi tabù di alcune società, quello legato ai propri animali può tranquillamente essere considerato un tabù al quadrato. La società non ammette il dolore e il pianto per situazioni non omologate ai suoi schemi, come se i sentimenti potessero essere incasellati.
Il lutto negato
Il lutto, in quanto tale, non è un’emozione singola, ma un processo psicologico complesso che coinvolge identità, memoria, corpo, relazioni e significati. Non è lineare, non è uguale per tutti e non “passa da solo”. Il dolore causato dal lutto è una risposta naturale a un cambiamento innaturale che comporta la fine di un legame affettivo. Non piangiamo solo chi è morto, ma piangiamo per ciò che quell’affetto rappresentava nella nostra vita.
Il dolore è così profondo perché la perdita spezza una struttura interna che, in quel legame, trovava stabilità e affetto. Questo vale a prescindere dal soggetto al quale siamo legati ed è connesso alla profondità di quello stesso legame. Non è dimostrato né dimostrabile che alcuni legami siano più profondi di altri, per esempio l’amore verso la propria mamma, verso il papà o verso i propri figli. Non c’è una classifica di omologazione.
Perdita, mancanza e vuoto dell’anima
Quando viene a mancare il destinatario del nostro affetto, il dolore ci travolge, ci annienta, ci toglie il fiato. Anche se si tratta di un animale. Per molte persone l’animale di casa, o il pet, come dicono gli anglofoni, è parte integrante della famiglia, membro indispensabile e fonte di affetto incredibile. Per alcuni diventa “figlio”, quel figlio che non hai più o che non hai mai avuto. Diventa il compagno di vita.
Dunque, in questi casi, saremmo di fronte a un sentimento meno importante? Immaginario?
Recentemente, parlando di questo, mi è stato chiesto se non ritengo esagerato questo attaccamento a un animale. Chi ha fatto la domanda ha quindi sottolineato come nella società di oggi alcuni equiparino gli animali “addirittura” ai propri figli.
Al di là della pochezza di empatia e della presunzione innata del soggetto che mi ha fatto questa domanda, quel “addirittura” mi ha fatto riflettere su quanta cultura si debba ancora fare in questa direzione, affinché chi soffre perché è deceduto il suo amore peloso (o pennuto o squamato) non si senta delegittimato o sbagliato, ma possa avviare i processi di elaborazione del lutto senza nascondersi e, se necessario, sia libero di chiedere un sostegno ed ottenerlo.
L’Amore – quello con la A maiuscola – è un dono della vita. E alla vita non importa verso chi dirigi il tuo cuore.
Quindi, alla domanda iniziale, rispondiamo serenamente: “Sì, sono triste perché è morta la mia piccola Luce ed ha lasciato un vuoto profondo”.
Giovanna Gay


















































































