La fine del marchio Taffo e il rebranding dopo la sentenza.

3 Ottobre 2025 - 09:00--Attualità-

Il marchio Taffo, celebre per il suo tono comunicativo ironico e provocatorio nel settore delle onoranze funebri, è ufficialmente “morto”.
Una morte annunciata, in perfetto stile black humor, che lascia spazio a una nuova identità aziendale: Tanuba.
La trasformazione non nasce da una semplice scelta di marketing, ma rappresenta la conseguenza diretta di una sentenza del Tribunale di Roma che ha dichiarato la nullità del marchio Taffo per “registrazione in mala fede”.

Una sentenza che fa giurisprudenza

Con la sentenza del 15 maggio 2024, il Tribunale di Roma ha dichiarato la nullità del marchio TAFFO”, ponendo fine a una lunga e complessa disputa familiare.
La decisione assume rilievo non solo per il settore delle agenzie funebri, ma anche per l’intero ambito della proprietà industriale, segnando un punto fermo sull’interpretazione della registrazione “in mala fede” di un marchio.

Le origini della controversia

La vicenda affonda le sue radici negli anni Quaranta, quando Gaetano Taffo, fondatore della “Taffo Gaetano S.n.c.”, avviò l’attività funebre contraddistinta dal marchio di famiglia.
Negli anni successivi, grazie al contributo dei figli e dei nipoti, l’impresa si consolidò sotto la denominazione “Taffo Gaetano & Figli S.n.c.”, mantenendo il marchio come segno distintivo.
Dopo la morte del fondatore, l’attività passò ai quattro figli, che operarono in regime di comunione d’impresa, coinvolgendo anche altre società familiari, tra cui l’Agenzia Funebre Taffo di Giulia Taffo e la Taffo S.r.l.

Nel 2015 la famiglia decise di separare le rispettive attività, stipulando un accordo transattivo l’11 febbraio 2016. Tale accordo regolava l’uso del marchio “TAFFO” e definiva le modalità del suo sfruttamento commerciale.
Nonostante ciò, uno degli eredi decise successivamente di registrare il marchio a proprio nome, senza il consenso degli altri familiari, dando origine alla controversia giudiziaria.

La registrazione in mala fede

Il fulcro della sentenza è rappresentato dall’art. 19 del Codice della Proprietà Industriale (CPI), che disciplina la registrazione del marchio d’impresa.
Secondo la norma, la registrazione in mala fede si configura quando il richiedente mira a ottenere un indebito vantaggio, ostacolando i legittimi utilizzatori o violando principi di correttezza e buona fede.

Nel caso Taffo, il Tribunale di Roma ha riconosciuto che l’erede che aveva registrato il marchio aveva agito in contrasto con gli accordi familiari del 2016 e con le aspettative legittime degli altri aventi diritto.
La condotta è stata qualificata come un tentativo di “appropriazione indebita” di un segno distintivo fortemente legato alla storia e all’identità familiare.

Le motivazioni del Tribunale

Il giudice ha ritenuto provata la mala fede attraverso diversi elementi:

  • la violazione dell’accordo transattivo del 2016,
  • l’assenza di consenso unanime degli altri eredi,
  • l’intento di precludere l’uso del marchio da parte delle società familiari storicamente legittimate.

Di conseguenza, è stata dichiarata la nullità del marchio “TAFFO”, con la cancellazione della registrazione a nome del singolo erede.

Tanuba: un rebranding obbligato ma strategico

Il rebranding è un processo strategico in cui un’azienda o un prodotto cambia la propria identità di marca per riposizionarsi sul mercato, modificare la percezione pubblica o allinearsi a una nuova visione aziendale.

Il nuovo nome dell’azienda Taffo, Tanuba, segna una rottura netta con il passato.
Si tratta di un marchio originale, astratto ed evocativo, in linea con le esigenze di un mercato altamente competitivo e regolamentato come quello funebre.
Pur essendo nato da una necessità legale, dunque da un obbligo imposto da una sentenza, il rebranding è stato gestito con consapevolezza strategica, trasformando una crisi in occasione di rilancio.

Cosa insegna il caso Taffo-Tanuba

Il passaggio da Taffo a Tanuba è un caso emblematico di rebranding forzato ma gestito con visione.
Insegna che:

  • La registrazione di un marchio deve rispettare la buona fede, pena la nullità anche a distanza di anni.

  • La proprietà del marchio è un asset strategico, da proteggere sin dalla fase di ideazione.

  • Anche da un evento traumatico come la perdita di un brand consolidato può nascere un’opportunità di rinnovamento.

 

 

La sentenza del 15 maggio 2024 assume particolare rilievo in tema di nullità dei marchi e di tutela dei segni distintivi legati a nomi di famiglia.
Essa ribadisce che il principio di buona fede non è soltanto un canone etico, ma un criterio giuridico imprescindibile nell’ambito della proprietà industriale.
Il provvedimento offre inoltre un precedente importante per le numerose controversie che spesso coinvolgono marchi aziendali di origine familiare, sottolineando la necessità di rispettare gli accordi e di non abusare della registrazione a danno degli altri legittimati.

Con la dichiarazione di nullità, il Tribunale di Roma ha riaffermato l’importanza della correttezza contrattuale e della buona fede come principi cardine nella gestione dei diritti di proprietà industriale.

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