Laika la cagnetta lanciata nello spazio e mai tornata.

Una creatura, non un esperimento
Laika non era “solo un cane in un razzo”. Era una creatura gentile, fiduciosa. Il suo vero nome era Kudrjavka (in russo “ricciolina”), ma il mondo imparò a conoscerla come Laika — letteralmente “piccola abbaiatrice”. Era una randagia, raccolta per le strade di Mosca, scelta per il suo carattere calmo e resistente: come se le difficoltà avessero temprato un’anima adatta a partire… senza mai tornare a casa.
Quando fu selezionata, era uno dei candidati sopravvissuti a duri test, fisici e psicologici. Le sue “colleghe” Albina e Mushka vennero impiegate come controlli, ma alla fine lei fu designata per quel viaggio, senza ritorno.
Il lancio verso l’ignoto
Il 3 novembre 1957, alle prime ore del mattino, Laika fu lanciata a bordo dello Sputnik 2 dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan. La capsula conteneva cibo, acqua e pareti imbottite, e sensori per rilevare frequenza cardiaca, respirazione e pressione. Ma non era previsto un rientro: fin dall’inizio, la sorte di Laika era decisa.
Durante il decollo e i momenti iniziali il suo battito si innalzò drasticamente—da circa 103 battiti al minuto prima del lancio fino a 240 durante la spinta iniziale. Dopo tre ore in microgravità, i dati telemetrici mostrarono che la sua frequenza cardiaca si era approssimata a condizioni più “normali”, ma era chiaro che qualcosa stava andando storto.
I segnali vitali cessarono dopo circa 5-7 ore: la versione ufficiale diffusa in seguito sosteneva che fosse sopravvissuta fino al sesto giorno, ma è ormai accertato che morì per surriscaldamento della cabina, causato da un guasto del sistema di controllo termico.
Intanto, lo Sputnik 2 continuò a orbitare attorno alla Terra per 2.570 orbite, prima di disintegrarsi durante il rientro nell’atmosfera il 14 aprile 1958.
Il simbolo e la domanda
Laika non scelse nulla di tutto questo. Non si offrì volontaria per rappresentare la scienza, il progresso o la corsa allo spazio. Era solo un cane: una piccola anima che cercava affetto… e divenne invece un simbolo.
La sua storia ci chiede silenziosamente di fare domande migliori:
Chi paga davvero il prezzo delle nostre conquiste?
Fino a che punto è giustificabile sacrificare un essere senziente in nome della conoscenza?
Negli anni successivi, l’Unione Sovietica continuò a usare cani nelle missioni spaziali. Alcuni tornarono vivi — come Belka e Strelka, recuperate sane dopo un volo con rientro di successo nel 1960.
Ma Laika rimane unica. Il monumento che la ricorda a Star City, vicino a Mosca, il busto sul Monumento ai Conquistatori dello Spazio, le pagine dedicate nei libri e nei fumetti (come la graphic novel Laika di Nick Abadzis) testimoniano che non è stata dimenticata.
Ma non tutti i progressi sono giusti. E dietro ogni traguardo potrebbe esserci qualcuno che non ha avuto scelta.
Laika conta ancora, non solo come voce della scienza, ma come eco dell’empatia che troppo spesso ignoriamo.
LPP
Una creatura, non un esperimento
Laika non era “solo un cane in un razzo”. Era una creatura gentile, fiduciosa. Il suo vero nome era Kudrjavka (in russo “ricciolina”), ma il mondo imparò a conoscerla come Laika — letteralmente “piccola abbaiatrice”. Era una randagia, raccolta per le strade di Mosca, scelta per il suo carattere calmo e resistente: come se le difficoltà avessero temprato un’anima adatta a partire… senza mai tornare a casa.
Quando fu selezionata, era uno dei candidati sopravvissuti a duri test, fisici e psicologici. Le sue “colleghe” Albina e Mushka vennero impiegate come controlli, ma alla fine lei fu designata per quel viaggio, senza ritorno.
Il lancio verso l’ignoto
Il 3 novembre 1957, alle prime ore del mattino, Laika fu lanciata a bordo dello Sputnik 2 dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan. La capsula conteneva cibo, acqua e pareti imbottite, e sensori per rilevare frequenza cardiaca, respirazione e pressione. Ma non era previsto un rientro: fin dall’inizio, la sorte di Laika era decisa.
Durante il decollo e i momenti iniziali il suo battito si innalzò drasticamente—da circa 103 battiti al minuto prima del lancio fino a 240 durante la spinta iniziale. Dopo tre ore in microgravità, i dati telemetrici mostrarono che la sua frequenza cardiaca si era approssimata a condizioni più “normali”, ma era chiaro che qualcosa stava andando storto.
I segnali vitali cessarono dopo circa 5-7 ore: la versione ufficiale diffusa in seguito sosteneva che fosse sopravvissuta fino al sesto giorno, ma è ormai accertato che morì per surriscaldamento della cabina, causato da un guasto del sistema di controllo termico.
Intanto, lo Sputnik 2 continuò a orbitare attorno alla Terra per 2.570 orbite, prima di disintegrarsi durante il rientro nell’atmosfera il 14 aprile 1958.
Il simbolo e la domanda
Laika non scelse nulla di tutto questo. Non si offrì volontaria per rappresentare la scienza, il progresso o la corsa allo spazio. Era solo un cane: una piccola anima che cercava affetto… e divenne invece un simbolo.
La sua storia ci chiede silenziosamente di fare domande migliori:
Chi paga davvero il prezzo delle nostre conquiste?
Fino a che punto è giustificabile sacrificare un essere senziente in nome della conoscenza?
Negli anni successivi, l’Unione Sovietica continuò a usare cani nelle missioni spaziali. Alcuni tornarono vivi — come Belka e Strelka, recuperate sane dopo un volo con rientro di successo nel 1960.
Ma Laika rimane unica. Il monumento che la ricorda a Star City, vicino a Mosca, il busto sul Monumento ai Conquistatori dello Spazio, le pagine dedicate nei libri e nei fumetti (come la graphic novel Laika di Nick Abadzis) testimoniano che non è stata dimenticata.
Ma non tutti i progressi sono giusti. E dietro ogni traguardo potrebbe esserci qualcuno che non ha avuto scelta.
Laika conta ancora, non solo come voce della scienza, ma come eco dell’empatia che troppo spesso ignoriamo.
LPP


















































































