Roberto Vecchioni e il dolore che diventa memoria.

“Figlio, figlio, figlio” di Roberto Vecchioni: le parole di un padre e il dolore che diventa memoria
Ci sono testi che nascono come canzoni e, col tempo, si trasformano in qualcosa di più profondo.
Figlio, figlio, figlio di Roberto Vecchioni appartiene a questa categoria. Parole che vivono sia dentro la musica che fuori, capaci di diventare poesia e preghiera laica.
Quando il cantautore la scrive nel 2002, il brano è un tentativo forte, quasi urgente, di scuotere il figlio Arrigo, adolescente, dall’apatia e da quel malessere silenzioso che molti giovani attraversano.
Dopo la tragica morte di Arrigo Vecchioni, avvenuta nell’aprile del 2023, quei versi risuonano in modo diverso.
Diventano un epitaffio, una lettera rivolta a un figlio che non può più rispondere, ma che continua a vivere nella memoria di chi lo ha amato.
Quando i versi di una canzone riescono a esprimere l’indicibile
Il testo compare anche nel capitolo Duplice accoppiata del libro La vita che si ama (Einaudi, 2016), dove Vecchioni raccoglie pensieri, ricordi e riflessioni sulla famiglia.
Una scelta che conferma quanto Figlio, figlio, figlio non sia solo una canzone, ma un testo poetico a tutti gli effetti: letto senza musica, mantiene intatta la sua forza emotiva.
Pubblicato originariamente come prima traccia dell’album Il lanciatore di coltelli (EMI, 2002), il brano nasce in un momento delicato del rapporto tra il cantautore e il figlio. È una sorta di appello dolente, un atto d’amore che prova a rompere il muro dell’incomunicabilità generazionale.
La confessione di un padre: limiti, errori e amore
Il cuore della poesia è una confessione. Un padre che non impartisce ordini, non giudica, non pretende.
È un genitore che si riconosce fragile, incerto, spesso incapace di trovare le parole giuste: “Tiro quasi sempre ad indovinare”.
In questa frase si condensa la verità più universale: essere genitori significa tentare, sbagliare, riprovare.
Vecchioni non cerca di nascondere le proprie imperfezioni; al contrario, le espone come un gesto di fiducia, sperando che quel figlio così chiuso nel suo silenzio possa accoglierle.
La “noia” esistenziale: quando il malessere non è pigrizia
Uno dei passaggi più intensi del testo è il riferimento alla “noia”.
Non una svogliatezza superficiale, ma un disagio profondo, una sensazione che attanaglia chi non riesce a trovare un posto nel mondo.
È un muro di gomma contro cui rimbalza ogni tentativo dei genitori di farsi ascoltare.
Vecchioni lo descrive con delicatezza, senza giudizio.
Il suo è uno sguardo adulto che cerca di comprendere il tormento giovanile, fino ad ammettere che:
- l’amore non basta sempre,
- la volontà del genitore non può sostituire il percorso interiore del figlio,
- a volte la comunicazione fallisce, ma il sentimento resta.
Dalla perdita alla memoria: la nascita della Fondazione Arrigo Vecchioni
Dopo la scomparsa di Arrigo nel 2023, le parole di questa canzone assumono una luce nuova.
Figlio, figlio, figlio diventa il simbolo di un legame che continua oltre la morte, una testimonianza di quanto la parola scritta possa custodire ciò che la vita toglie.
Da questa tragedia nasce anche la Fondazione Arrigo Vecchioni, un progetto che trasforma il dolore in impegno sociale e culturale.
Una realtà che promuove il dialogo tra genitori e figli, il sostegno psicologico ai giovani e l’importanza dell’ascolto come gesto d’amore.
Perché questo testo ci riguarda
Il brano è diventato negli anni uno dei testi più intensi e citati della produzione di Vecchioni perché:
- parla di un amore universale, quello tra un padre e un figlio;
- affronta il tema dell’incomprensione con sensibilità rara;
- mostra un genitore vulnerabile, lontano dagli stereotipi;
- trasforma il dolore in memoria poetica;
- oggi, alla luce degli eventi, è percepito come una dedica eterna.
Racconta qualcosa che riguarda tutti: il desiderio di essere compresi e la paura di non riuscire a raggiungere davvero le persone che amiamo. E qualche volte è troppo tardi.
È la dimostrazione che la poesia non consola, ma accompagna.
E che l’amore, quando è sincero e imperfetto, continua a vivere anche nel silenzio di chi non può più rispondere.
LPP
Figlio, chi t’insegnerà le stelle
Se da questa nave non potrai vederle?
Chi t’indicherà le luci dalla riva?
Figlio, quante volte non si arriva
Compositore: Roberto Vecchioni
Testo di Figlio, figlio, figlio © Emi Music Publishing Italia Srl, Ippo Edizioni Musicali
“Figlio, figlio, figlio” di Roberto Vecchioni: le parole di un padre e il dolore che diventa memoria
Ci sono testi che nascono come canzoni e, col tempo, si trasformano in qualcosa di più profondo.
Figlio, figlio, figlio di Roberto Vecchioni appartiene a questa categoria. Parole che vivono sia dentro la musica che fuori, capaci di diventare poesia e preghiera laica.
Quando il cantautore la scrive nel 2002, il brano è un tentativo forte, quasi urgente, di scuotere il figlio Arrigo, adolescente, dall’apatia e da quel malessere silenzioso che molti giovani attraversano.
Dopo la tragica morte di Arrigo Vecchioni, avvenuta nell’aprile del 2023, quei versi risuonano in modo diverso.
Diventano un epitaffio, una lettera rivolta a un figlio che non può più rispondere, ma che continua a vivere nella memoria di chi lo ha amato.
Quando i versi di una canzone riescono a esprimere l’indicibile
Il testo compare anche nel capitolo Duplice accoppiata del libro La vita che si ama (Einaudi, 2016), dove Vecchioni raccoglie pensieri, ricordi e riflessioni sulla famiglia.
Una scelta che conferma quanto Figlio, figlio, figlio non sia solo una canzone, ma un testo poetico a tutti gli effetti: letto senza musica, mantiene intatta la sua forza emotiva.
Pubblicato originariamente come prima traccia dell’album Il lanciatore di coltelli (EMI, 2002), il brano nasce in un momento delicato del rapporto tra il cantautore e il figlio. È una sorta di appello dolente, un atto d’amore che prova a rompere il muro dell’incomunicabilità generazionale.
La confessione di un padre: limiti, errori e amore
Il cuore della poesia è una confessione. Un padre che non impartisce ordini, non giudica, non pretende.
È un genitore che si riconosce fragile, incerto, spesso incapace di trovare le parole giuste: “Tiro quasi sempre ad indovinare”.
In questa frase si condensa la verità più universale: essere genitori significa tentare, sbagliare, riprovare.
Vecchioni non cerca di nascondere le proprie imperfezioni; al contrario, le espone come un gesto di fiducia, sperando che quel figlio così chiuso nel suo silenzio possa accoglierle.
La “noia” esistenziale: quando il malessere non è pigrizia
Uno dei passaggi più intensi del testo è il riferimento alla “noia”.
Non una svogliatezza superficiale, ma un disagio profondo, una sensazione che attanaglia chi non riesce a trovare un posto nel mondo.
È un muro di gomma contro cui rimbalza ogni tentativo dei genitori di farsi ascoltare.
Vecchioni lo descrive con delicatezza, senza giudizio.
Il suo è uno sguardo adulto che cerca di comprendere il tormento giovanile, fino ad ammettere che:
- l’amore non basta sempre,
- la volontà del genitore non può sostituire il percorso interiore del figlio,
- a volte la comunicazione fallisce, ma il sentimento resta.
Dalla perdita alla memoria: la nascita della Fondazione Arrigo Vecchioni
Dopo la scomparsa di Arrigo nel 2023, le parole di questa canzone assumono una luce nuova.
Figlio, figlio, figlio diventa il simbolo di un legame che continua oltre la morte, una testimonianza di quanto la parola scritta possa custodire ciò che la vita toglie.
Da questa tragedia nasce anche la Fondazione Arrigo Vecchioni, un progetto che trasforma il dolore in impegno sociale e culturale.
Una realtà che promuove il dialogo tra genitori e figli, il sostegno psicologico ai giovani e l’importanza dell’ascolto come gesto d’amore.
Perché questo testo ci riguarda
Il brano è diventato negli anni uno dei testi più intensi e citati della produzione di Vecchioni perché:
- parla di un amore universale, quello tra un padre e un figlio;
- affronta il tema dell’incomprensione con sensibilità rara;
- mostra un genitore vulnerabile, lontano dagli stereotipi;
- trasforma il dolore in memoria poetica;
- oggi, alla luce degli eventi, è percepito come una dedica eterna.
Racconta qualcosa che riguarda tutti: il desiderio di essere compresi e la paura di non riuscire a raggiungere davvero le persone che amiamo. E qualche volte è troppo tardi.
È la dimostrazione che la poesia non consola, ma accompagna.
E che l’amore, quando è sincero e imperfetto, continua a vivere anche nel silenzio di chi non può più rispondere.
LPP
Figlio, chi t’insegnerà le stelle
Se da questa nave non potrai vederle?
Chi t’indicherà le luci dalla riva?
Figlio, quante volte non si arriva
Compositore: Roberto Vecchioni
Testo di Figlio, figlio, figlio © Emi Music Publishing Italia Srl, Ippo Edizioni Musicali



















































































