L’uomo che trasformò la miseria in poesia
Il 13 novembre 1974 l’Italia perdeva Vittorio De Sica, uno dei più grandi maestri del cinema mondiale.
Attore, regista, e padre del neorealismo, De Sica seppe raccontare con verità e ironia la dignità nascosta nella povertà.
Dietro la sua eleganza e il suo sorriso, c’era un uomo cresciuto tra debiti e difficoltà, come ricorda un aneddoto tratto dalla sua autobiografia incompiuta.
Un giorno, camminando per Roma con il padre, si trovarono davanti il sarto che reclamava il pagamento del conto.
Con calma, il padre tirò fuori un taccuino e disse: “Lei è al secondo posto nella lista dei creditori. Se continua a urlare, la metto all’ultimo”.
In quella battuta ironica c’è tutto il codice del cinema di De Sica: la povertà affrontata con umorismo, il dolore stemperato nel sorriso, la vita osservata senza giudizio.
Dalle origini al mito del neorealismo
Nato a Sora nel 1901 e cresciuto a Napoli, Vittorio De Sica si diplomò ragioniere prima di dedicarsi completamente al teatro e al cinema.
Negli anni Trenta divenne un volto amato grazie ai film diretti da Mario Camerini, come Gli uomini che mascalzoni e Il signor Max.
Ma la sua vera vocazione emerse dietro la macchina da presa.
Con I bambini ci guardano (1943) inaugurò la collaborazione con Cesare Zavattini, il sodalizio che avrebbe definito il neorealismo italiano.
Zavattini teorizzò il “pedinamento”, un cinema che segue la vita reale senza artifici, e De Sica lo trasformò in poesia visiva.
Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948) divennero il manifesto di un’epoca: storie di disperazione e speranza raccontate con occhi sinceri e senza attori professionisti.

Un artista tra ironia, realtà e sentimento
Negli anni Cinquanta, De Sica ampliò il suo linguaggio.
Con Miracolo a Milano (1951) unì realismo e fiaba, mentre con Umberto D. (1952) raggiunse il vertice della sua sensibilità umana.
In seguito seppe reinventarsi nella commedia all’italiana con capolavori come L’oro di Napoli (1954), Ieri, oggi e domani (1963) e Matrimonio all’italiana (1964).
La sua carriera d’attore fu altrettanto intensa: memorabili le interpretazioni in Pane, amore e fantasia e I due marescialli accanto a Totò.
Con Il giardino dei Finzi Contini (1970) tornò al dramma con eleganza e vinse il suo quarto Oscar, consolidando la sua leggenda internazionale.
La morte e l’eredità di un gigante
Vittorio De Sica morì a Neuilly-sur-Seine, in Francia, il 13 novembre 1974, a 73 anni.
Il mondo del cinema salutò l’uomo che aveva dato voce ai silenzi dell’Italia del dopoguerra.
De Sica resta il regista che ha trasformato la miseria in poesia e la realtà in un eterno atto d’amore verso l’uomo.
LPP