23 giugno 2017. Muore Stefano Rodotà, giurista delle libertà.

Stefano Rodotà muore il 23 giugno 2017 a Roma.
Aveva 84 anni e, fino all’ultimo, rimane una delle voci più autorevoli e libere del pensiero giuridico italiano.
La sua figura è legata a doppio filo alla difesa dei diritti civili, della dignità umana e delle libertà digitali, in un’epoca in cui il diritto spesso rincorre la tecnologia.
Nato a Cosenza il 30 maggio 1933, cresce in una famiglia borghese del Sud, ma è nella Roma delle università e dei fermenti culturali che trova la sua casa intellettuale.
Si laurea in Giurisprudenza alla Sapienza e inizia un percorso accademico che lo porterà a insegnare Diritto civile in diverse università italiane e a pubblicare saggi che diventano riferimento.
Stefano Rodotà, il diritto come strumento di libertà
La carriera pubblica di Rodotà comincia nel 1979, quando entra in Parlamento come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano.
Resta deputato fino al 1994.
In quegli anni si batte per una visione del diritto al servizio dei cittadini, non delle istituzioni.
Dal 1997 al 2005 guida l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
È in questa fase che diventa un pioniere in Europa della riflessione sui diritti digitali.
Parla per primo di “costituzionalismo della rete” e di “bene comune digitale”, anticipando i dibattiti di oggi sull’intelligenza artificiale, la privacy e l’uso dei big data.
Nel 2013 è tra i candidati alla Presidenza della Repubblica sostenuti dal Movimento 5 Stelle.
Non viene eletto, ma il suo nome diventa simbolo di una richiesta di politica etica e trasparente.
Rodotà non si arrende mai al compromesso.
Resta fedele alla sua idea di giustizia, anche quando è scomoda.
Scrive, interviene, partecipa.
Fino alla fine, dialoga con i giovani, spingendoli a pensare, a criticare, a costruire.
L’addio a un pensatore necessario
Stefano Rodotà muore a Roma, dove vive e lavora fino agli ultimi giorni.
È sepolto nel cimitero del Verano.
La sua eredità è culturale e morale, custodita in libri, articoli e nell’esempio di un pensiero sempre libero.
Un pensatore necessario, che ha fatto della legge una questione di umanità.
Stefano Rodotà muore il 23 giugno 2017 a Roma.
Aveva 84 anni e, fino all’ultimo, rimane una delle voci più autorevoli e libere del pensiero giuridico italiano.
La sua figura è legata a doppio filo alla difesa dei diritti civili, della dignità umana e delle libertà digitali, in un’epoca in cui il diritto spesso rincorre la tecnologia.
Nato a Cosenza il 30 maggio 1933, cresce in una famiglia borghese del Sud, ma è nella Roma delle università e dei fermenti culturali che trova la sua casa intellettuale.
Si laurea in Giurisprudenza alla Sapienza e inizia un percorso accademico che lo porterà a insegnare Diritto civile in diverse università italiane e a pubblicare saggi che diventano riferimento.
Stefano Rodotà, il diritto come strumento di libertà
La carriera pubblica di Rodotà comincia nel 1979, quando entra in Parlamento come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano.
Resta deputato fino al 1994.
In quegli anni si batte per una visione del diritto al servizio dei cittadini, non delle istituzioni.
Dal 1997 al 2005 guida l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
È in questa fase che diventa un pioniere in Europa della riflessione sui diritti digitali.
Parla per primo di “costituzionalismo della rete” e di “bene comune digitale”, anticipando i dibattiti di oggi sull’intelligenza artificiale, la privacy e l’uso dei big data.
Nel 2013 è tra i candidati alla Presidenza della Repubblica sostenuti dal Movimento 5 Stelle.
Non viene eletto, ma il suo nome diventa simbolo di una richiesta di politica etica e trasparente.
Rodotà non si arrende mai al compromesso.
Resta fedele alla sua idea di giustizia, anche quando è scomoda.
Scrive, interviene, partecipa.
Fino alla fine, dialoga con i giovani, spingendoli a pensare, a criticare, a costruire.
L’addio a un pensatore necessario
Stefano Rodotà muore a Roma, dove vive e lavora fino agli ultimi giorni.
È sepolto nel cimitero del Verano.
La sua eredità è culturale e morale, custodita in libri, articoli e nell’esempio di un pensiero sempre libero.
Un pensatore necessario, che ha fatto della legge una questione di umanità.