Epitaffi d’autore, Charles Bukowski.

Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato Epitaffi d’Autore, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere, perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
Charles Bukowski, lo scrittore maledetto che racconta l’America ai margini
Charles Bukowski nasce ad Andernach, in Germania, nel 1920, ma cresce a Los Angeles.
È stato uno degli scrittori più discussi e amati del secondo Novecento.
Autore di poesie, romanzi e racconti, ha raccontato l’America degli ultimi: i perdenti, gli ubriachi, i dimenticati.
Con uno stile crudo e diretto, ha saputo dare voce a un’umanità disillusa ma ancora viva.
Tra le sue opere più celebri ci sono Post Office, Factotum e Storie di ordinaria follia.
Ma è anche nella sua figura pubblica – provocatoria, ironica, scomoda – che Bukowski ha costruito il suo mito.
Muore il 9 marzo 1994 a San Pedro, in California, a 73 anni, dopo una lunga battaglia contro la leucemia.
Sulla sua lapide, come ultimo messaggio al mondo, sceglie due parole soltanto.
Don’t try
È questa la scritta che si legge sulla sua lapide:
Don’t try
Due parole, nessuna spiegazione, nessun riferimento alla scrittura o alla fama, soltanto un messaggio nudo, inciso nella pietra.
Un’ultima provocazione, o un consiglio di vita?
“Don’t try”, ovvero “Non provarci”, suona a prima vista come un invito al fallimento.
Eppure, come spesso accade con Bukowski, dietro l’apparente cinismo si nasconde una visione più sottile.
In una lettera a un giovane scrittore, spiegava:
“Non cercare di scrivere. Se non esce da te come un razzo, lascia perdere. Non provarci nemmeno.”
Per lui l’arte non andava forzata: o ti brucia dentro, oppure non è autentica.
Il “non provarci” è un inno all’onestà creativa.
Secondo la moglie, quel messaggio era ancora più diretto: non provare a fare le cose, falle.
Non tentare: agisci.
Non inseguire uno stile di vita: vivilo.
È un’esortazione semplice e radicale, che ribadisce il suo modo di stare al mondo.
Essere, non sembrare.
Fare, non provarci.
Vivere, non recitare.

Ironia, minimalismo e coerenza fino alla fine
Bukowski è sepolto al Green Hills Memorial Park, a Rancho Palos Verdes, vicino a Los Angeles.
Accanto all’epitaffio, sulla lapide è inciso anche un pugile, pronto alla battaglia.
Un’icona inaspettata, ma perfettamente coerente: Bukowski si sentiva un pugile del quotidiano.
La sua tomba è diventata un luogo di pellegrinaggio per lettori di tutto il mondo.
Qualcuno lascia sigarette, altri bottiglie di birra, poesie, o semplicemente un sorriso.
Come a dire: abbiamo capito il messaggio.
Non serve provarci, serve esserci davvero.
Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato Epitaffi d’Autore, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere, perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
Charles Bukowski, lo scrittore maledetto che racconta l’America ai margini
Charles Bukowski nasce ad Andernach, in Germania, nel 1920, ma cresce a Los Angeles.
È stato uno degli scrittori più discussi e amati del secondo Novecento.
Autore di poesie, romanzi e racconti, ha raccontato l’America degli ultimi: i perdenti, gli ubriachi, i dimenticati.
Con uno stile crudo e diretto, ha saputo dare voce a un’umanità disillusa ma ancora viva.
Tra le sue opere più celebri ci sono Post Office, Factotum e Storie di ordinaria follia.
Ma è anche nella sua figura pubblica – provocatoria, ironica, scomoda – che Bukowski ha costruito il suo mito.
Muore il 9 marzo 1994 a San Pedro, in California, a 73 anni, dopo una lunga battaglia contro la leucemia.
Sulla sua lapide, come ultimo messaggio al mondo, sceglie due parole soltanto.
Don’t try
È questa la scritta che si legge sulla sua lapide:
Don’t try
Due parole, nessuna spiegazione, nessun riferimento alla scrittura o alla fama, soltanto un messaggio nudo, inciso nella pietra.
Un’ultima provocazione, o un consiglio di vita?
“Don’t try”, ovvero “Non provarci”, suona a prima vista come un invito al fallimento.
Eppure, come spesso accade con Bukowski, dietro l’apparente cinismo si nasconde una visione più sottile.
In una lettera a un giovane scrittore, spiegava:
“Non cercare di scrivere. Se non esce da te come un razzo, lascia perdere. Non provarci nemmeno.”
Per lui l’arte non andava forzata: o ti brucia dentro, oppure non è autentica.
Il “non provarci” è un inno all’onestà creativa.
Secondo la moglie, quel messaggio era ancora più diretto: non provare a fare le cose, falle.
Non tentare: agisci.
Non inseguire uno stile di vita: vivilo.
È un’esortazione semplice e radicale, che ribadisce il suo modo di stare al mondo.
Essere, non sembrare.
Fare, non provarci.
Vivere, non recitare.

Ironia, minimalismo e coerenza fino alla fine
Bukowski è sepolto al Green Hills Memorial Park, a Rancho Palos Verdes, vicino a Los Angeles.
Accanto all’epitaffio, sulla lapide è inciso anche un pugile, pronto alla battaglia.
Un’icona inaspettata, ma perfettamente coerente: Bukowski si sentiva un pugile del quotidiano.
La sua tomba è diventata un luogo di pellegrinaggio per lettori di tutto il mondo.
Qualcuno lascia sigarette, altri bottiglie di birra, poesie, o semplicemente un sorriso.
Come a dire: abbiamo capito il messaggio.
Non serve provarci, serve esserci davvero.


















































































