Diventare “fantasmi digitali”: nuove frontiere dell’AI o inquietante futuro?

“Fantasmi digitali”: il lato oscuro della “resurrezione” algoritmica
I fantasmi digitali esistono già. Con l’avanzare dell’intelligenza artificiale, una nuova forma di “immortalità” si affaccia all’orizzonte: l’AI resurrection,
Esiste dunque la possibilità di “ri-creare” una persona defunta sotto forma di clone digitale, capace di parlare, rispondere e apparire sorprendentemente reale.
Foto, messaggi, vocali, video: tutto ciò che condividiamo online può essere rielaborato da algoritmi per costruire una replica postuma, un vero e proprio “fantasma AI”.
Per alcuni, questa prospettiva è confortante, soprattutto per affrontare il lutto.
Per altri, è profondamente inquietante: cosa succede se diventiamo immortali contro la nostra volontà?
I grief bot: quando il lutto diventa codice
Il primo “grief bot” noto è stato creato da un professore di informatica, che ha trasformato i ricordi e i messaggi del padre defunto in un software con cui i nipoti potessero parlare.
Ma il risultato sollevò una domanda fondamentale: il padre avrebbe voluto essere ricreato?
La risposta è impossibile da conoscere, ma il rischio è evidente: le repliche digitali raccontano una versione parziale, soggettiva, e spesso non autorizzata della persona scomparsa.
Fantasmi digitali: l’assenza di tutele legali
Attualmente, non esiste una legge specifica che vieti la creazione di un avatar AI non commerciale di una persona defunta.
I diritti all’immagine, d’autore o alla privacy coprono i casi più eclatanti (come le celebrità nei film o negli spot postumi), ma le persone comuni non sono protette.
Nemmeno un testamento esplicito, al momento, garantisce che un individuo possa impedire la propria “resurrezione digitale”.
Alcuni esperti consigliano di inserire clausole precise nel testamento: vietare l’utilizzo di voce, immagine, testi o dati personali da parte di sistemi di intelligenza artificiale, anche dopo la morte.
Altri propongono di estendere il diritto alla cancellazione dei propri dati, rendendolo universale, automatico e semplice da esercitare.
Ma finché il vuoto normativo non sarà colmato, il rischio di diventare un fantasma AI senza consenso è reale.
Elaborazione del lutto o dipendenza affettiva?
C’è chi vede negli avatar commemorativi un’opportunità per lenire il dolore della perdita.
Tuttavia, numerosi psicologi avvertono: interagire con cloni digitali può ostacolare l’elaborazione del lutto, soprattutto per i più giovani.
Il confine tra realtà e simulazione rischia di sfumare, generando dipendenza emotiva da entità artificiali.
Come sempre, se proprio si decide di creare un “ghost bot”, bisognerebbe farlo solo con il consenso esplicito del defunto, in contesti privati e con un uso limitato..
Eredità digitale: un diritto per pochi?
Oggi la maggior parte delle persone muore senza un testamento, e ancora meno persone includono disposizioni digitali.
L’accesso alla protezione post-mortem è legato a strumenti legali complessi, spesso costosi.
Per evitare una nuova forma di disuguaglianza sociale sono necessarie regole accessibili, valide per tutti, che consentano di esercitare il diritto all’oblio anche dopo la morte.
Fantasmi digitali: un futuro inquietante?
Oggi chiunque, con pochi click, può creare un avatar vocale partendo da chat e messaggi WhatsApp.
Aziende come StoryFile o HereAfter stanno già vendendo servizi per “resuscitare” i propri cari sotto forma di assistenti digitali.
Il mercato è in crescita, e la cultura popolare inizia ad abituarsi all’idea di parlare con i morti digitali.
Ma se domani la nostra voce venisse usata in pubblicità postume o per conversare con sconosciuti?
Se nessuno avesse mai chiesto il nostro consenso?
La tecnologia sta avanzando più velocemente della nostra cultura della morte.
Finché possiamo ancora scegliere, dobbiamo porci una domanda cruciale: vogliamo davvero restare per sempre?
E se non lo vogliamo, chi ci protegge dal diventare immortali contro la nostra volontà?
LPP
“Fantasmi digitali”: il lato oscuro della “resurrezione” algoritmica
I fantasmi digitali esistono già. Con l’avanzare dell’intelligenza artificiale, una nuova forma di “immortalità” si affaccia all’orizzonte: l’AI resurrection,
Esiste dunque la possibilità di “ri-creare” una persona defunta sotto forma di clone digitale, capace di parlare, rispondere e apparire sorprendentemente reale.
Foto, messaggi, vocali, video: tutto ciò che condividiamo online può essere rielaborato da algoritmi per costruire una replica postuma, un vero e proprio “fantasma AI”.
Per alcuni, questa prospettiva è confortante, soprattutto per affrontare il lutto.
Per altri, è profondamente inquietante: cosa succede se diventiamo immortali contro la nostra volontà?
I grief bot: quando il lutto diventa codice
Il primo “grief bot” noto è stato creato da un professore di informatica, che ha trasformato i ricordi e i messaggi del padre defunto in un software con cui i nipoti potessero parlare.
Ma il risultato sollevò una domanda fondamentale: il padre avrebbe voluto essere ricreato?
La risposta è impossibile da conoscere, ma il rischio è evidente: le repliche digitali raccontano una versione parziale, soggettiva, e spesso non autorizzata della persona scomparsa.
Fantasmi digitali: l’assenza di tutele legali
Attualmente, non esiste una legge specifica che vieti la creazione di un avatar AI non commerciale di una persona defunta.
I diritti all’immagine, d’autore o alla privacy coprono i casi più eclatanti (come le celebrità nei film o negli spot postumi), ma le persone comuni non sono protette.
Nemmeno un testamento esplicito, al momento, garantisce che un individuo possa impedire la propria “resurrezione digitale”.
Alcuni esperti consigliano di inserire clausole precise nel testamento: vietare l’utilizzo di voce, immagine, testi o dati personali da parte di sistemi di intelligenza artificiale, anche dopo la morte.
Altri propongono di estendere il diritto alla cancellazione dei propri dati, rendendolo universale, automatico e semplice da esercitare.
Ma finché il vuoto normativo non sarà colmato, il rischio di diventare un fantasma AI senza consenso è reale.
Elaborazione del lutto o dipendenza affettiva?
C’è chi vede negli avatar commemorativi un’opportunità per lenire il dolore della perdita.
Tuttavia, numerosi psicologi avvertono: interagire con cloni digitali può ostacolare l’elaborazione del lutto, soprattutto per i più giovani.
Il confine tra realtà e simulazione rischia di sfumare, generando dipendenza emotiva da entità artificiali.
Come sempre, se proprio si decide di creare un “ghost bot”, bisognerebbe farlo solo con il consenso esplicito del defunto, in contesti privati e con un uso limitato..
Eredità digitale: un diritto per pochi?
Oggi la maggior parte delle persone muore senza un testamento, e ancora meno persone includono disposizioni digitali.
L’accesso alla protezione post-mortem è legato a strumenti legali complessi, spesso costosi.
Per evitare una nuova forma di disuguaglianza sociale sono necessarie regole accessibili, valide per tutti, che consentano di esercitare il diritto all’oblio anche dopo la morte.
Fantasmi digitali: un futuro inquietante?
Oggi chiunque, con pochi click, può creare un avatar vocale partendo da chat e messaggi WhatsApp.
Aziende come StoryFile o HereAfter stanno già vendendo servizi per “resuscitare” i propri cari sotto forma di assistenti digitali.
Il mercato è in crescita, e la cultura popolare inizia ad abituarsi all’idea di parlare con i morti digitali.
Ma se domani la nostra voce venisse usata in pubblicità postume o per conversare con sconosciuti?
Se nessuno avesse mai chiesto il nostro consenso?
La tecnologia sta avanzando più velocemente della nostra cultura della morte.
Finché possiamo ancora scegliere, dobbiamo porci una domanda cruciale: vogliamo davvero restare per sempre?
E se non lo vogliamo, chi ci protegge dal diventare immortali contro la nostra volontà?
LPP