Dobbiamo avere paura della morte? Tra angoscia, fede e speranza.

Paura della Morte. “La morte ha una cattiva reputazione”, scrive il filosofo Robert Redecker nel suo libro L’eclissi della morte.
Solo pochi mistici e disperati sembrano desiderarla.
Gli altri la evitano, la temono, la rimuovono dai pensieri.
Eppure, ci riguarda tutti.
Ma dobbiamo davvero averne paura?
O esistono chiavi per comprenderla, affrontarla e perfino integrarla nel nostro cammino umano e spirituale?
Perché abbiamo paura della morte?
Secondo Don Thomas Lapenne, intervenuto nella trasmissione Sanctuaires normands su RCF, tutti gli esseri umani sono preoccupati dalla fine della loro vita.
Temiamo la morte perché ci separa: da noi stessi, dai nostri cari, dalla vita che conosciamo.
L’uomo si proietta nel futuro e immagina il declino fisico, l’isolamento affettivo, la rottura spirituale.
Questa paura è antica quanto l’umanità.
Dalla caduta di Adamo, l’immortalità è perduta: la morte è entrata come conseguenza del peccato originale.
Una paura della morte che cambia con l’età
Questa inquietudine ci accompagna in tutte le fasi della vita.
Il bambino la sperimenta nella perdita di un animale domestico, intuendo la separazione per sempre.
L’adulto, più consapevole della finitezza, vive la paura della morte sotto forma di solitudine, abbandono, rottura dei legami.
Anche eventi collettivi, come la pandemia di Covid, hanno risvegliato questa paura primordiale.
E con l’età, la consapevolezza della fine può farsi più acuta… oppure più serena, a seconda del cammino interiore percorso.
La morte può darci qualcosa?
Sorprendentemente, la paura della morte può avere un lato positivo.
Ci ricorda il valore del tempo, l’unicità di ogni giorno, l’importanza di vivere nell’amore, nel dono di sé, nella riconciliazione.
Nel libro biblico del Siracide si legge: “Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conosce veramente alla fine” (Sir 11,28).
La morte dà un sigillo di autenticità alla nostra vita.
Non è solo una fine: è anche un criterio di verità.
La morte è un passaggio, non una fine
Don Lapenne sottolinea che la morte è una separazione, ma anche un passaggio.
Non si tratta di cadere in un vuoto oscuro, ma di entrare nella Vita, come affermava Santa Teresa.
È un incontro con Dio, con Cristo, con la Vergine Maria, con San Giuseppe – patrono della buona morte – con l’angelo custode e i santi.
La morte, in questa visione, non è l’annientamento, ma un ponte tra la vita terrena e quella eterna.
Il transumanesimo può salvarci dalla morte?
Di fronte alla paura della morte, il pensiero moderno propone risposte tecnologiche.
Il transumanesimo promette di superare i limiti del corpo umano, prolungare la vita, correggere la decadenza.
Ma può davvero rispondere al desiderio profondo del cuore?
Secondo Don Lapenne, nessuno desidera una vita perpetua sulla terra.
Non è l’infinità a dare senso all’esistenza, ma la pienezza dell’amore.
La tecnica può curare il corpo, ma non può colmare la sete di eternità dell’anima.
E chi non crede in Dio?
Chi non crede o rifiuta Dio può vivere la morte senza la consolazione della speranza cristiana.
Ma – dice Don Lapenne – anche a queste persone il Signore va incontro.
Nessuno è escluso dalla possibilità dell’incontro con Cristo.
Anche chi ha rifiutato la fede per ignoranza o per dolore, potrebbe riconoscere il volto di Dio nel momento decisivo.
È il mistero della libertà, ma anche della misericordia.
Paura della morte: come affrontarla nel quotidiano?
Esistono piccoli gesti che possono addomesticare la paura della morte e trasformarla in forza di vita.
-
Vivere nell’amore, sapendo che l’amore ha l’ultima parola.
-
Ricordare la risurrezione di Cristo, che ci libera dalla paura della morte (Eb 2,15).
-
Pregare: San Giuseppe o la Madonna della Buona Morte sono intercessori potenti.
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Vivere il “giorno della buona morte”, come faceva Don Bosco: immaginare che la nostra vita finisca oggi stesso e agire di conseguenza.
Non si tratta di vivere con angoscia, ma con lucidità e speranza.
La morte come maestra di vita
La morte resta un mistero, ma può insegnarci a vivere meglio.
Non è una nemica da combattere a ogni costo, né una condanna da temere in silenzio.
È un passaggio, una soglia, un incontro.
Prepararsi ad essa – spiritualmente, emotivamente – non significa arrendersi, ma vivere con più consapevolezza e amore.
E quando verrà quel giorno, forse potremo dire, come i santi: “Sì, vengo!”.
Laura Persico Pezzino
Paura della Morte. “La morte ha una cattiva reputazione”, scrive il filosofo Robert Redecker nel suo libro L’eclissi della morte.
Solo pochi mistici e disperati sembrano desiderarla.
Gli altri la evitano, la temono, la rimuovono dai pensieri.
Eppure, ci riguarda tutti.
Ma dobbiamo davvero averne paura?
O esistono chiavi per comprenderla, affrontarla e perfino integrarla nel nostro cammino umano e spirituale?
Perché abbiamo paura della morte?
Secondo Don Thomas Lapenne, intervenuto nella trasmissione Sanctuaires normands su RCF, tutti gli esseri umani sono preoccupati dalla fine della loro vita.
Temiamo la morte perché ci separa: da noi stessi, dai nostri cari, dalla vita che conosciamo.
L’uomo si proietta nel futuro e immagina il declino fisico, l’isolamento affettivo, la rottura spirituale.
Questa paura è antica quanto l’umanità.
Dalla caduta di Adamo, l’immortalità è perduta: la morte è entrata come conseguenza del peccato originale.
Una paura della morte che cambia con l’età
Questa inquietudine ci accompagna in tutte le fasi della vita.
Il bambino la sperimenta nella perdita di un animale domestico, intuendo la separazione per sempre.
L’adulto, più consapevole della finitezza, vive la paura della morte sotto forma di solitudine, abbandono, rottura dei legami.
Anche eventi collettivi, come la pandemia di Covid, hanno risvegliato questa paura primordiale.
E con l’età, la consapevolezza della fine può farsi più acuta… oppure più serena, a seconda del cammino interiore percorso.
La morte può darci qualcosa?
Sorprendentemente, la paura della morte può avere un lato positivo.
Ci ricorda il valore del tempo, l’unicità di ogni giorno, l’importanza di vivere nell’amore, nel dono di sé, nella riconciliazione.
Nel libro biblico del Siracide si legge: “Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conosce veramente alla fine” (Sir 11,28).
La morte dà un sigillo di autenticità alla nostra vita.
Non è solo una fine: è anche un criterio di verità.
La morte è un passaggio, non una fine
Don Lapenne sottolinea che la morte è una separazione, ma anche un passaggio.
Non si tratta di cadere in un vuoto oscuro, ma di entrare nella Vita, come affermava Santa Teresa.
È un incontro con Dio, con Cristo, con la Vergine Maria, con San Giuseppe – patrono della buona morte – con l’angelo custode e i santi.
La morte, in questa visione, non è l’annientamento, ma un ponte tra la vita terrena e quella eterna.
Il transumanesimo può salvarci dalla morte?
Di fronte alla paura della morte, il pensiero moderno propone risposte tecnologiche.
Il transumanesimo promette di superare i limiti del corpo umano, prolungare la vita, correggere la decadenza.
Ma può davvero rispondere al desiderio profondo del cuore?
Secondo Don Lapenne, nessuno desidera una vita perpetua sulla terra.
Non è l’infinità a dare senso all’esistenza, ma la pienezza dell’amore.
La tecnica può curare il corpo, ma non può colmare la sete di eternità dell’anima.
E chi non crede in Dio?
Chi non crede o rifiuta Dio può vivere la morte senza la consolazione della speranza cristiana.
Ma – dice Don Lapenne – anche a queste persone il Signore va incontro.
Nessuno è escluso dalla possibilità dell’incontro con Cristo.
Anche chi ha rifiutato la fede per ignoranza o per dolore, potrebbe riconoscere il volto di Dio nel momento decisivo.
È il mistero della libertà, ma anche della misericordia.
Paura della morte: come affrontarla nel quotidiano?
Esistono piccoli gesti che possono addomesticare la paura della morte e trasformarla in forza di vita.
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Vivere nell’amore, sapendo che l’amore ha l’ultima parola.
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Ricordare la risurrezione di Cristo, che ci libera dalla paura della morte (Eb 2,15).
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Pregare: San Giuseppe o la Madonna della Buona Morte sono intercessori potenti.
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Vivere il “giorno della buona morte”, come faceva Don Bosco: immaginare che la nostra vita finisca oggi stesso e agire di conseguenza.
Non si tratta di vivere con angoscia, ma con lucidità e speranza.
La morte come maestra di vita
La morte resta un mistero, ma può insegnarci a vivere meglio.
Non è una nemica da combattere a ogni costo, né una condanna da temere in silenzio.
È un passaggio, una soglia, un incontro.
Prepararsi ad essa – spiritualmente, emotivamente – non significa arrendersi, ma vivere con più consapevolezza e amore.
E quando verrà quel giorno, forse potremo dire, come i santi: “Sì, vengo!”.
Laura Persico Pezzino