Epitaffi d’autore, Alberto Bevilacqua.

Epitaffi d’autore, Alberto Bevilacqua.
Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato Epitaffi d’Autore, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere.
Perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
Un autore che ha segnato la letteratura italiana
Alberto Bevilacqua nasce a Parma nel 1934 e attraversa gran parte del Novecento come scrittore, giornalista e regista.
Si fa conoscere grazie a romanzi che raccontano le passioni, le tensioni e le contraddizioni dell’Italia contemporanea.
Opere come “La Califfa” e “Questa specie d’amore” diventano veri e propri casi letterari, vincendo premi prestigiosi e trasformandosi in film di successo.
La sua carriera abbraccia narrativa, poesia, cinema e giornalismo, segno di una creatività instancabile e di uno sguardo sempre attento alla società.
Muore a Roma il 9 settembre 2013, a 79 anni, lasciando un vuoto nella scena culturale italiana.
La sua sepoltura porta con sé un’ultima traccia della sua sensibilità: un epitaffio inciso sulla lapide che racchiude la sua poetica in poche righe.
L’epitaffio sulla tomba di Alberto Bevilacqua
Io cerco un ventre orgoglioso e umiliato
per morirci teneramente
come ci sono nato.
Il significato di un congedo poetico
Questi versi rivelano la cifra più intima della scrittura di Bevilacqua.
Non un pensiero sulla gloria, sulla fama o sul destino dell’opera, ma un ritorno alle origini.
Il ventre evocato è simbolo di madre, di vita, di calore e di appartenenza.
L’autore immagina la morte come un ritorno al grembo, chiudendo il cerchio dell’esistenza con la stessa dolcezza con cui è iniziata.
Il tono è profondamente poetico e al tempo stesso tenero.
Non c’è ironia né sfida, ma la ricerca di una dimensione universale: nascere e morire sono parte di un ciclo che si compie con naturalezza.
Una firma coerente con la sua opera
L’epitaffio non sorprende chi conosce Bevilacqua poeta e narratore.
La sua scrittura ha sempre oscillato tra passione e delicatezza, tra forza e fragilità.
Anche nell’ultima parola, l’autore sceglie di lasciare un’immagine intima, lontana dai riflettori, che restituisce un uomo profondamente legato alle radici della vita.
Epitaffi d’autore, Alberto Bevilacqua.
Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato Epitaffi d’Autore, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere.
Perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
Un autore che ha segnato la letteratura italiana
Alberto Bevilacqua nasce a Parma nel 1934 e attraversa gran parte del Novecento come scrittore, giornalista e regista.
Si fa conoscere grazie a romanzi che raccontano le passioni, le tensioni e le contraddizioni dell’Italia contemporanea.
Opere come “La Califfa” e “Questa specie d’amore” diventano veri e propri casi letterari, vincendo premi prestigiosi e trasformandosi in film di successo.
La sua carriera abbraccia narrativa, poesia, cinema e giornalismo, segno di una creatività instancabile e di uno sguardo sempre attento alla società.
Muore a Roma il 9 settembre 2013, a 79 anni, lasciando un vuoto nella scena culturale italiana.
La sua sepoltura porta con sé un’ultima traccia della sua sensibilità: un epitaffio inciso sulla lapide che racchiude la sua poetica in poche righe.
L’epitaffio sulla tomba di Alberto Bevilacqua
Io cerco un ventre orgoglioso e umiliato
per morirci teneramente
come ci sono nato.
Il significato di un congedo poetico
Questi versi rivelano la cifra più intima della scrittura di Bevilacqua.
Non un pensiero sulla gloria, sulla fama o sul destino dell’opera, ma un ritorno alle origini.
Il ventre evocato è simbolo di madre, di vita, di calore e di appartenenza.
L’autore immagina la morte come un ritorno al grembo, chiudendo il cerchio dell’esistenza con la stessa dolcezza con cui è iniziata.
Il tono è profondamente poetico e al tempo stesso tenero.
Non c’è ironia né sfida, ma la ricerca di una dimensione universale: nascere e morire sono parte di un ciclo che si compie con naturalezza.
Una firma coerente con la sua opera
L’epitaffio non sorprende chi conosce Bevilacqua poeta e narratore.
La sua scrittura ha sempre oscillato tra passione e delicatezza, tra forza e fragilità.
Anche nell’ultima parola, l’autore sceglie di lasciare un’immagine intima, lontana dai riflettori, che restituisce un uomo profondamente legato alle radici della vita.


















































































