Epitaffi d’autore. Jacques de La Palice: Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita.

Jacques de La Palice: Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita.
Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato Epitaffi d’Autore, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere.
Perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
Jacques de La Palice, un uomo d’armi passato alla storia… per un errore
Qui giace il signor de La Palice.
Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita.
Jacques de La Palice è stato un comandante militare francese vissuto tra il XV e il XVI secolo.
Nato nel 1470, si distinse per coraggio e abilità al servizio della monarchia francese.
Partecipò a numerose campagne in Italia e divenne uno dei marescialli più stimati del suo tempo.
Morì il 24 febbraio 1525, durante la battaglia di Pavia, cadendo in combattimento contro le truppe spagnole.
I suoi soldati, addolorati per la perdita del loro comandante, gli dedicarono un epitaffio che intendeva celebrarne le virtù.
Ci-gît le Seigneur de La Palice.
S’il n’était pas mort, il ferait encore envie.
Qui giace il signor de La Palice.
Se non fosse morto, farebbe ancora invidia.
Il significato originale era un omaggio sincero: La Palice, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato ancora ammirato per il suo valore.
Un riconoscimento affettuoso e rispettoso.
Ma da questo omaggio nacque, per errore, uno degli epitaffi più noti — e fraintesi — della storia.
Una frase divenuta proverbiale
Col passare del tempo, una svista di trascrizione cambiò completamente il senso dell’epitaffio.
La f di ferait fu letta come una s, trasformandola in serait.
E la parola envie (invidia) fu interpretata come en vie (in vita).
Così la frase diventò:
Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita.
Un’ovvietà talmente disarmante da sembrare una battuta.
Una frase che, nel suo paradosso, ha fatto nascere l’aggettivo lapalissiano, utilizzato ancora oggi per indicare ciò che è talmente ovvio da risultare ridicolo.
Il nome di Jacques de La Palice, anziché rimanere legato alle sue imprese militari, è diventato immortale per una frase che — ironia della sorte — non ha mai pronunciato né scritto di suo pugno.
La gloria eterna… di un fraintendimento
L’epitaffio di Jacques de La Palice, non racconta la sua personalità, ma la capacità della lingua di trasformare la memoria.
Un banale errore grafico si è fatto leggenda.
Ancora oggi, dire che qualcosa è lapalissiano significa affermare una verità così ovvia da diventare superflua.
E tutto questo è nato da un tentativo sincero di rendere onore a un valoroso comandante.
Un esempio perfetto di come l’ironia — anche involontaria — possa scolpire un nome nella storia più di mille imprese.
Jacques de La Palice: Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita.
Epitaffi d’Autore, l’ultima parola prima della parola “fine”.
Alcuni se ne vanno in punta di piedi, altri improvvisamente, quasi con un “colpo di teatro”.
In questa rubrica, che abbiamo chiamato Epitaffi d’Autore, vogliamo dare “l’ultima parola” a coloro, noti e meno noti, che hanno saputo lasciare il segno… con una sola frase.
Epitaffi che fanno pensare e persino sorridere.
Perché anche la fine, se scritta bene, merita un applauso.
Jacques de La Palice, un uomo d’armi passato alla storia… per un errore
Qui giace il signor de La Palice.
Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita.
Jacques de La Palice è stato un comandante militare francese vissuto tra il XV e il XVI secolo.
Nato nel 1470, si distinse per coraggio e abilità al servizio della monarchia francese.
Partecipò a numerose campagne in Italia e divenne uno dei marescialli più stimati del suo tempo.
Morì il 24 febbraio 1525, durante la battaglia di Pavia, cadendo in combattimento contro le truppe spagnole.
I suoi soldati, addolorati per la perdita del loro comandante, gli dedicarono un epitaffio che intendeva celebrarne le virtù.
Ci-gît le Seigneur de La Palice.
S’il n’était pas mort, il ferait encore envie.
Qui giace il signor de La Palice.
Se non fosse morto, farebbe ancora invidia.
Il significato originale era un omaggio sincero: La Palice, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato ancora ammirato per il suo valore.
Un riconoscimento affettuoso e rispettoso.
Ma da questo omaggio nacque, per errore, uno degli epitaffi più noti — e fraintesi — della storia.
Una frase divenuta proverbiale
Col passare del tempo, una svista di trascrizione cambiò completamente il senso dell’epitaffio.
La f di ferait fu letta come una s, trasformandola in serait.
E la parola envie (invidia) fu interpretata come en vie (in vita).
Così la frase diventò:
Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita.
Un’ovvietà talmente disarmante da sembrare una battuta.
Una frase che, nel suo paradosso, ha fatto nascere l’aggettivo lapalissiano, utilizzato ancora oggi per indicare ciò che è talmente ovvio da risultare ridicolo.
Il nome di Jacques de La Palice, anziché rimanere legato alle sue imprese militari, è diventato immortale per una frase che — ironia della sorte — non ha mai pronunciato né scritto di suo pugno.
La gloria eterna… di un fraintendimento
L’epitaffio di Jacques de La Palice, non racconta la sua personalità, ma la capacità della lingua di trasformare la memoria.
Un banale errore grafico si è fatto leggenda.
Ancora oggi, dire che qualcosa è lapalissiano significa affermare una verità così ovvia da diventare superflua.
E tutto questo è nato da un tentativo sincero di rendere onore a un valoroso comandante.
Un esempio perfetto di come l’ironia — anche involontaria — possa scolpire un nome nella storia più di mille imprese.