2 luglio 1977. Muore Vladimir Nabokov, autore di Lolita e illusionista della parola.

Il 2 luglio 1977, Vladimir Nabokov muore in una clinica di Losanna.
Ha 78 anni.
Con lui si spegne una delle menti più raffinate e sfuggenti del Novecento.
Uno scrittore che non si lascia mai afferrare del tutto, nemmeno dai suoi lettori più devoti.
Un uomo che vive nella lingua, più che nel mondo.
Nabokov è il maestro delle sfumature, delle trappole sintattiche, dei giochi di specchi.
Ma anche un poeta dell’amore e della perdita.
Il suo nome resta indissolubilmente legato a Lolita.
Ma sarebbe un errore ridurlo solo a quello.
Vladimir Nabokov, la fuga, l’esilio, e la salvezza nella lingua
Vladimir Nabokov nasce nel 1899 a San Pietroburgo, in una famiglia aristocratica colta e liberale.
La Rivoluzione lo costringe a fuggire.
Prima Berlino, poi Parigi, infine l’America.
Non torna più.
All’inizio scrive in russo.
Poi in inglese.
Ogni volta, si reinventa.
Ma non perde mai la sua eleganza tagliente.
È farfallaologo per passione, professore per necessità, romanziere per destino.
Insegna letteratura russa negli Stati Uniti, ma nei suoi libri la nostalgia si mescola all’ironia.
Ogni pagina è un esercizio di precisione.
Ogni parola è scelta come una pietra preziosa.
Nel 1955 pubblica Lolita.
Scandalo, censura, successo mondiale.
Dietro la storia disturbante di Humbert Humbert si nasconde la riflessione più feroce sull’ossessione, il desiderio e l’illusione della bellezza.
Ma Nabokov è anche l’autore di Pnin, Pale Fire, Ada, Invito a una decapitazione.
Romanzi che sfidano il lettore.
Che non cercano empatia, ma attenzione.
Un addio discreto, come un punto e virgola
Nel 1977, una bronchite si complica.
Il corpo non regge.
Vladimir Nabokov muore il 2 luglio, con accanto la moglie Véra.
È sepolto nel cimitero di Clarens, sulle rive del Lago di Ginevra.
Nessuna cerimonia pubblica.
Solo l’eco di parole che non smettono di vibrare.
In una delle sue ultime lettere, scrive che gli scrittori devono essere come illusionisti:
presenti, ma invisibili.
E così se ne va.
In punta di penna.
Il 2 luglio 1977, Vladimir Nabokov muore in una clinica di Losanna.
Ha 78 anni.
Con lui si spegne una delle menti più raffinate e sfuggenti del Novecento.
Uno scrittore che non si lascia mai afferrare del tutto, nemmeno dai suoi lettori più devoti.
Un uomo che vive nella lingua, più che nel mondo.
Nabokov è il maestro delle sfumature, delle trappole sintattiche, dei giochi di specchi.
Ma anche un poeta dell’amore e della perdita.
Il suo nome resta indissolubilmente legato a Lolita.
Ma sarebbe un errore ridurlo solo a quello.
Vladimir Nabokov, la fuga, l’esilio, e la salvezza nella lingua
Vladimir Nabokov nasce nel 1899 a San Pietroburgo, in una famiglia aristocratica colta e liberale.
La Rivoluzione lo costringe a fuggire.
Prima Berlino, poi Parigi, infine l’America.
Non torna più.
All’inizio scrive in russo.
Poi in inglese.
Ogni volta, si reinventa.
Ma non perde mai la sua eleganza tagliente.
È farfallaologo per passione, professore per necessità, romanziere per destino.
Insegna letteratura russa negli Stati Uniti, ma nei suoi libri la nostalgia si mescola all’ironia.
Ogni pagina è un esercizio di precisione.
Ogni parola è scelta come una pietra preziosa.
Nel 1955 pubblica Lolita.
Scandalo, censura, successo mondiale.
Dietro la storia disturbante di Humbert Humbert si nasconde la riflessione più feroce sull’ossessione, il desiderio e l’illusione della bellezza.
Ma Nabokov è anche l’autore di Pnin, Pale Fire, Ada, Invito a una decapitazione.
Romanzi che sfidano il lettore.
Che non cercano empatia, ma attenzione.
Un addio discreto, come un punto e virgola
Nel 1977, una bronchite si complica.
Il corpo non regge.
Vladimir Nabokov muore il 2 luglio, con accanto la moglie Véra.
È sepolto nel cimitero di Clarens, sulle rive del Lago di Ginevra.
Nessuna cerimonia pubblica.
Solo l’eco di parole che non smettono di vibrare.
In una delle sue ultime lettere, scrive che gli scrittori devono essere come illusionisti:
presenti, ma invisibili.
E così se ne va.
In punta di penna.