3 luglio 2017. Muore Paolo Villaggio, il genio tragico dietro la maschera di Fantozzi.

Paolo Villaggio muore il 3 luglio 2017, in una Roma che si sveglia con un vuoto nuovo.
Ha 84 anni e un’eredità ingombrante fatta di risate, amarezza e genio.
È difficile separare l’uomo dal personaggio.
Ma chi ha davvero ascoltato la sua voce sa che dietro le gag c’è una profondità che punge.
Villaggio nasce a Genova, il 30 dicembre 1932.
Il padre è un agronomo, la madre un’insegnante severa.
Studia legge, ma si annoia.
Scrive, recita, inventa.
Per anni resta ai margini, fino a quando crea qualcosa che non assomiglia a nulla: un ragioniere disperato, servile, ridicolo, con una nuvoletta di sfortuna che lo segue ovunque.
Paolo Villaggio e l’invenzione di un’Italia tragicomica
Fantozzi nasce prima sulla carta, poi in TV, poi al cinema.
È un personaggio che fa ridere, sì, ma che stringe anche lo stomaco.
È l’uomo qualunque, vittima e complice del proprio fallimento.
Attraverso Fantozzi, Villaggio racconta un’Italia piegata, impiegatizia, schiacciata da capi, norme assurde e sogni svaniti.
Il successo esplode.
Ma lui non si ferma lì.
Interpreta anche Fracchia, scrive libri, lavora con Fellini, Olmi, Wertmüller.
Nel 1992 riceve il Leone d’oro alla carriera a Venezia.
Nel 2000, viene invitato anche al Festival di Berlino.
Villaggio è scomodo.
È uno che ride dei potenti ma anche del pubblico.
Uno che mostra allo spettatore la propria meschinità, e lo fa con dolcezza.
Addio a una voce unica
Quando muore, la camera ardente viene allestita in Campidoglio.
La folla che lo saluta è composta di ogni tipo umano: giovani, anziani, professionisti, studenti.
Tutti, in fondo, sono stati Fantozzi almeno una volta nella vita.
La figlia lo saluta leggendo un suo brano.
E Roma, per un attimo, sembra ascoltare davvero.
Paolo Villaggio viene cremato.
Le sue ceneri riposano accanto a quelle della moglie Maura.
Resta l’eco delle sue parole, pronunciate sempre con un sorriso sghembo e un lampo negli occhi.
Paolo Villaggio muore il 3 luglio 2017, in una Roma che si sveglia con un vuoto nuovo.
Ha 84 anni e un’eredità ingombrante fatta di risate, amarezza e genio.
È difficile separare l’uomo dal personaggio.
Ma chi ha davvero ascoltato la sua voce sa che dietro le gag c’è una profondità che punge.
Villaggio nasce a Genova, il 30 dicembre 1932.
Il padre è un agronomo, la madre un’insegnante severa.
Studia legge, ma si annoia.
Scrive, recita, inventa.
Per anni resta ai margini, fino a quando crea qualcosa che non assomiglia a nulla: un ragioniere disperato, servile, ridicolo, con una nuvoletta di sfortuna che lo segue ovunque.
Paolo Villaggio e l’invenzione di un’Italia tragicomica
Fantozzi nasce prima sulla carta, poi in TV, poi al cinema.
È un personaggio che fa ridere, sì, ma che stringe anche lo stomaco.
È l’uomo qualunque, vittima e complice del proprio fallimento.
Attraverso Fantozzi, Villaggio racconta un’Italia piegata, impiegatizia, schiacciata da capi, norme assurde e sogni svaniti.
Il successo esplode.
Ma lui non si ferma lì.
Interpreta anche Fracchia, scrive libri, lavora con Fellini, Olmi, Wertmüller.
Nel 1992 riceve il Leone d’oro alla carriera a Venezia.
Nel 2000, viene invitato anche al Festival di Berlino.
Villaggio è scomodo.
È uno che ride dei potenti ma anche del pubblico.
Uno che mostra allo spettatore la propria meschinità, e lo fa con dolcezza.
Addio a una voce unica
Quando muore, la camera ardente viene allestita in Campidoglio.
La folla che lo saluta è composta di ogni tipo umano: giovani, anziani, professionisti, studenti.
Tutti, in fondo, sono stati Fantozzi almeno una volta nella vita.
La figlia lo saluta leggendo un suo brano.
E Roma, per un attimo, sembra ascoltare davvero.
Paolo Villaggio viene cremato.
Le sue ceneri riposano accanto a quelle della moglie Maura.
Resta l’eco delle sue parole, pronunciate sempre con un sorriso sghembo e un lampo negli occhi.