4 luglio 1934. Muore Marie Curie, la scienziata che sfida i limiti della materia e del suo tempo.

Marie Curie muore il 4 luglio 1934, in un sanatorio di Sancellemoz, sulle Alpi francesi.
Ha 66 anni, il corpo debilitato da quella stessa radioattività che studia con passione quasi ossessiva.
Non conosce riposo, né compromessi.
Con lei se ne va una delle menti più luminose del Novecento.
Ma il suo nome resta nelle aule, nei laboratori, nei sogni di ogni ragazza che osa desiderare un posto dove nessuno l’ha ancora immaginata.
Marie Curie, oltre ogni barriera
Nasce a Varsavia nel 1867, quando la Polonia è ancora sotto il dominio russo.
Si chiama Maria Sklodowska, ma diventa Marie quando si trasferisce a Parigi per studiare alla Sorbona.
Lì incontra Pierre Curie, con cui condivide ricerca, vita e passione.
Insieme scoprono il polonio e il radio.
Insieme aprono la strada a un nuovo modo di leggere la materia.
Quando Pierre muore in un incidente, lei non si ferma.
Prende il suo posto alla cattedra, prima donna in assoluto.
Continua il lavoro, vince il secondo Nobel — e nessun’altra donna, ancora oggi, ne ha vinti due in due discipline diverse
Fisica e Chimica.
Marie Curie non si limita a scoprire, rivoluziona, rende visibile l’invisibile.
Il suo lavoro cambia la medicina, la fisica, la guerra, il nostro modo di concepire l’energia.
Un addio silenzioso, come la radiazione che l’ha uccisa
Quando muore, la diagnosi parla di anemia aplastica, la causa è l’esposizione prolungata alle sostanze radioattive.
Non sa ancora — o finge di non sapere — quanto siano pericolose e non si protegge.
Scrive, lavora, conserva campioni nei cassetti del suo studio.
Le sue carte personali, ancora oggi, sono conservate in contenitori piombati ma il suo nome non ha bisogno di essere schermato.
Brilla, come il radio che isola per la prima volta, come la sua mente, come la sua eredità.
Marie Curie muore il 4 luglio 1934, in un sanatorio di Sancellemoz, sulle Alpi francesi.
Ha 66 anni, il corpo debilitato da quella stessa radioattività che studia con passione quasi ossessiva.
Non conosce riposo, né compromessi.
Con lei se ne va una delle menti più luminose del Novecento.
Ma il suo nome resta nelle aule, nei laboratori, nei sogni di ogni ragazza che osa desiderare un posto dove nessuno l’ha ancora immaginata.
Marie Curie, oltre ogni barriera
Nasce a Varsavia nel 1867, quando la Polonia è ancora sotto il dominio russo.
Si chiama Maria Sklodowska, ma diventa Marie quando si trasferisce a Parigi per studiare alla Sorbona.
Lì incontra Pierre Curie, con cui condivide ricerca, vita e passione.
Insieme scoprono il polonio e il radio.
Insieme aprono la strada a un nuovo modo di leggere la materia.
Quando Pierre muore in un incidente, lei non si ferma.
Prende il suo posto alla cattedra, prima donna in assoluto.
Continua il lavoro, vince il secondo Nobel — e nessun’altra donna, ancora oggi, ne ha vinti due in due discipline diverse
Fisica e Chimica.
Marie Curie non si limita a scoprire, rivoluziona, rende visibile l’invisibile.
Il suo lavoro cambia la medicina, la fisica, la guerra, il nostro modo di concepire l’energia.
Un addio silenzioso, come la radiazione che l’ha uccisa
Quando muore, la diagnosi parla di anemia aplastica, la causa è l’esposizione prolungata alle sostanze radioattive.
Non sa ancora — o finge di non sapere — quanto siano pericolose e non si protegge.
Scrive, lavora, conserva campioni nei cassetti del suo studio.
Le sue carte personali, ancora oggi, sono conservate in contenitori piombati ma il suo nome non ha bisogno di essere schermato.
Brilla, come il radio che isola per la prima volta, come la sua mente, come la sua eredità.