6 luglio 1971. La morte di Louis Armstrong: leggenda del jazz che reinventò la musica afroamericana.

Le origini di una leggenda: tra mito e verità
Louis Daniel Armstrong, meglio conosciuto come Louis Armstrong o “Satchmo”, è considerato uno dei più grandi trombettisti jazz di tutti i tempi.
Il suo stile inconfondibile e la sua voce roca hanno rivoluzionato la musica afroamericana, trasformandola in un linguaggio universale.
Tuttavia, la sua storia personale si apre con un piccolo enigma.
Per anni, Armstrong ha dichiarato di essere nato il 4 luglio 1900, giorno della Festa dell’Indipendenza americana.
Una data simbolica, perfetta per un artista destinato a diventare il volto del jazz nel mondo.
Ma le ricerche dello studioso Tad Jones, sovvenzionate dalla città di New Orleans, hanno portato alla luce i documenti originali di battesimo: Armstrong è nato il 4 agosto 1901.
Probabilmente, aveva anticipato la sua età per sembrare più maturo durante i difficili esordi tra Chicago e New York.
Un’infanzia difficile e il primo amore: la musica
La giovinezza di Armstrong è segnata da povertà ed emarginazione.
Abbandonato dal padre e affidato alla nonna materna, cresce in un contesto disagiato dove la madre, con ogni probabilità, si prostituisce.
Nonostante ciò, il giovane Louis scopre presto un’ancora di salvezza: la musica.
Inizia cantando per strada, sviluppando un’intonazione perfetta e un senso dell’improvvisazione che sarà la chiave del suo stile.
Ma la vita di strada lo conduce anche verso guai seri: viene arrestato per aver sparato in aria con un revolver e trascorre due anni in un riformatorio.
Proprio lì, però, entra nella banda dell’istituto e impara a suonare la cornetta grazie al maestro Peter Davis.
Peter Davis, che gli dà l’opportunità di studiare i rudimenti di questa sorta di “succedaneo” della tromba.
La banda dell’istituto è molto amata dagli abitanti e gira le strade suonando melodie in voga all’epoca come la celeberrima “When the Saints Go Marchin’in” che, recuperata parecchi anni dopo, diventerà uno dei suoi cavalli di battaglia.
Da quel momento, la musica diventa la sua strada.
Gli esordi e l’incontro con il destino: King Oliver
Uscito dal riformatorio, Armstrong si dedica totalmente al jazz.
Comincia suonando nei locali di New Orleans e viene notato da Joe “King” Oliver, il miglior cornettista della città.
Oliver lo prende sotto la sua ala e, nel 1922, lo invita a Chicago per unirsi alla sua “Creole Jazz Band”.
Qui, Armstrong ha finalmente l’occasione di esprimersi da solista, dimostrando tutto il suo virtuosismo.
La sua potenza sonora, la precisione ritmica e la fantasia melodica conquistano il pubblico.
Il salto di qualità: da sideman a icona
Nel 1924 Louis lascia la band di Oliver per unirsi all’orchestra di Fletcher Henderson, a New York.
Qui collabora con grandi nomi come Sidney Bechet e Bessie Smith, e inizia a incidere i leggendari dischi Hot Fives e Hot Sevens.
La sua tromba brillante e la voce ruvida elevano il jazz a forma d’arte.
Da quel momento, Armstrong diventa un fenomeno mondiale.
Criticato da alcuni per la sua ambiguità nei confronti della comunità afroamericana, viene accusato di essere uno “zio Tom”.
Ma in realtà, con la sua musica rompe barriere razziali e diventa uno dei primi artisti afroamericani a ottenere un successo planetario.
Tra cinema, successi e declino
Negli anni ’50 Armstrong approda anche al cinema, recitando in film come Alta società accanto a Grace Kelly, Bing Crosby e Frank Sinatra.
È ormai un’icona globale del jazz, anche se alcuni critici lo accusano di essersi trasformato in una caricatura di sé stesso.
Nel 1964 “Hello Dolly” riscuote un successo enorme, salendo in cima alle classifiche.
Nel 1967 registra l’intramontabile “What a Wonderful World”, uno dei pezzi che più rappresentano il cuore e l’anima di Armstrong.
Per non parlare della sua versione personale della celeberrima “Vie en rose” di Edith Piaf.
Nella fase finale della sua carriera, la gestione della sua immagine viene affidata a impresari senza scrupoli, privandolo della sua autonomia artistica.
La morte del re del jazz
Louis Armstrong muore il 6 luglio 1971 nella sua casa nel Queens, a New York.
La sua voce inconfondibile, il suono graffiante della sua tromba e il suo sorriso bambino sono in ogni nota di jazz che risuona nel mondo.
L’epitaffio migliore gli è stato dedicato dal poeta Evtusenko, che raccomandò all’arcangelo Gabriele di “…dare ad Armstrong una tromba, perché rallegri gli angeli e i peccatori all’inferno abbiano alleviate le loro pene”.
Del resto siamo certi che sia ancora lì a deliziare tutti i Santi del Paradiso con la sua tromba.
Godiamoci ancora una volta la sua When The Saints Go Marching In
Laura Persico Pezzino
Le origini di una leggenda: tra mito e verità
Louis Daniel Armstrong, meglio conosciuto come Louis Armstrong o “Satchmo”, è considerato uno dei più grandi trombettisti jazz di tutti i tempi.
Il suo stile inconfondibile e la sua voce roca hanno rivoluzionato la musica afroamericana, trasformandola in un linguaggio universale.
Tuttavia, la sua storia personale si apre con un piccolo enigma.
Per anni, Armstrong ha dichiarato di essere nato il 4 luglio 1900, giorno della Festa dell’Indipendenza americana.
Una data simbolica, perfetta per un artista destinato a diventare il volto del jazz nel mondo.
Ma le ricerche dello studioso Tad Jones, sovvenzionate dalla città di New Orleans, hanno portato alla luce i documenti originali di battesimo: Armstrong è nato il 4 agosto 1901.
Probabilmente, aveva anticipato la sua età per sembrare più maturo durante i difficili esordi tra Chicago e New York.
Un’infanzia difficile e il primo amore: la musica
La giovinezza di Armstrong è segnata da povertà ed emarginazione.
Abbandonato dal padre e affidato alla nonna materna, cresce in un contesto disagiato dove la madre, con ogni probabilità, si prostituisce.
Nonostante ciò, il giovane Louis scopre presto un’ancora di salvezza: la musica.
Inizia cantando per strada, sviluppando un’intonazione perfetta e un senso dell’improvvisazione che sarà la chiave del suo stile.
Ma la vita di strada lo conduce anche verso guai seri: viene arrestato per aver sparato in aria con un revolver e trascorre due anni in un riformatorio.
Proprio lì, però, entra nella banda dell’istituto e impara a suonare la cornetta grazie al maestro Peter Davis.
Peter Davis, che gli dà l’opportunità di studiare i rudimenti di questa sorta di “succedaneo” della tromba.
La banda dell’istituto è molto amata dagli abitanti e gira le strade suonando melodie in voga all’epoca come la celeberrima “When the Saints Go Marchin’in” che, recuperata parecchi anni dopo, diventerà uno dei suoi cavalli di battaglia.
Da quel momento, la musica diventa la sua strada.
Gli esordi e l’incontro con il destino: King Oliver
Uscito dal riformatorio, Armstrong si dedica totalmente al jazz.
Comincia suonando nei locali di New Orleans e viene notato da Joe “King” Oliver, il miglior cornettista della città.
Oliver lo prende sotto la sua ala e, nel 1922, lo invita a Chicago per unirsi alla sua “Creole Jazz Band”.
Qui, Armstrong ha finalmente l’occasione di esprimersi da solista, dimostrando tutto il suo virtuosismo.
La sua potenza sonora, la precisione ritmica e la fantasia melodica conquistano il pubblico.
Il salto di qualità: da sideman a icona
Nel 1924 Louis lascia la band di Oliver per unirsi all’orchestra di Fletcher Henderson, a New York.
Qui collabora con grandi nomi come Sidney Bechet e Bessie Smith, e inizia a incidere i leggendari dischi Hot Fives e Hot Sevens.
La sua tromba brillante e la voce ruvida elevano il jazz a forma d’arte.
Da quel momento, Armstrong diventa un fenomeno mondiale.
Criticato da alcuni per la sua ambiguità nei confronti della comunità afroamericana, viene accusato di essere uno “zio Tom”.
Ma in realtà, con la sua musica rompe barriere razziali e diventa uno dei primi artisti afroamericani a ottenere un successo planetario.
Tra cinema, successi e declino
Negli anni ’50 Armstrong approda anche al cinema, recitando in film come Alta società accanto a Grace Kelly, Bing Crosby e Frank Sinatra.
È ormai un’icona globale del jazz, anche se alcuni critici lo accusano di essersi trasformato in una caricatura di sé stesso.
Nel 1964 “Hello Dolly” riscuote un successo enorme, salendo in cima alle classifiche.
Nel 1967 registra l’intramontabile “What a Wonderful World”, uno dei pezzi che più rappresentano il cuore e l’anima di Armstrong.
Per non parlare della sua versione personale della celeberrima “Vie en rose” di Edith Piaf.
Nella fase finale della sua carriera, la gestione della sua immagine viene affidata a impresari senza scrupoli, privandolo della sua autonomia artistica.
La morte del re del jazz
Louis Armstrong muore il 6 luglio 1971 nella sua casa nel Queens, a New York.
La sua voce inconfondibile, il suono graffiante della sua tromba e il suo sorriso bambino sono in ogni nota di jazz che risuona nel mondo.
L’epitaffio migliore gli è stato dedicato dal poeta Evtusenko, che raccomandò all’arcangelo Gabriele di “…dare ad Armstrong una tromba, perché rallegri gli angeli e i peccatori all’inferno abbiano alleviate le loro pene”.
Del resto siamo certi che sia ancora lì a deliziare tutti i Santi del Paradiso con la sua tromba.
Godiamoci ancora una volta la sua When The Saints Go Marching In
Laura Persico Pezzino