La morte dei bambini nelle fiabe: metafora di rinascita spirituale.

Quando le fiabe parlano di morte per raccontare la vita
Le fiabe non sono solo racconti per bambini.
Spesso celano verità profonde, archetipi universali e riflessioni esistenziali.
Tra i temi più ricorrenti – e meno compresi – c’è la morte.
Non quella reale e cruda, ma una morte simbolica, spirituale, iniziatica.
Quattro grandi storie, oggi entrate nell’immaginario collettivo, affrontano in modi diversi la morte di un bambino: Pinocchio, Alice, Peter Pan e Il Piccolo Principe.
Pinocchio: il burattino che muore per diventare bambino
Pinocchio è molto più di una favola morale sulla disobbedienza.
È la storia di un burattino che muore per poter nascere davvero.
Cresce senza un padre biologico, viene traviato da un Lucignolo (alter ego di Lucifero), finisce nel ventre di un pesce – come Giona – e infine si trasforma.
La morte del burattino è necessaria alla nascita del bambino: un’evoluzione spirituale, una rinascita.
Alice: la discesa negli inferi di una bambina smarrita
Alice cade.
Cade in un mondo sotterraneo, verticale, fuori dalle leggi della fisica.
Non ci sono regole, tutto si deforma, si espande, si contrae.
“Alice nel Paese delle Meraviglie” è un’Ade mascherato da sogno.
Una morte simbolica, una perdita dell’io per poi ritrovarsi.
Il viaggio nel mondo di Alice è una discesa agli inferi dell’inconscio, un ritorno alla vita con nuovi occhi.
Peter Pan: l’angelo dei bambini perduti
Peter Pan non cresce perché è morto.
È il bambino perduto, abbandonato da una madre distratta.
Nel primo capitolo del libro di Barrie si legge che quando i bambini muoiono, è lui ad accompagnarli nel primo tratto del cammino.
Peter Pan è l’angelo della morte, il custode dei piccoli spiriti smarriti.
I tre fratelli volano in camicia da notte: sono figure sospese tra la vita e l’aldilà.
Ma loro torneranno.
Il Piccolo Principe: la morte come ritorno all’essenziale
Nel caso del Piccolo Principe, le metafore si spogliano e resta solo la verità: muore.
Il serpente lo morde, lui cade e non si rialza.
Ma la sua morte è dolce, necessaria, piena di senso.
Pubblicato nel 1943, mentre Auschwitz era in piena attività, il libro porta un messaggio radicale:
se soffriamo, è perché abbiamo amato.
Il dolore della perdita è la misura della bellezza vissuta.
Una filosofia del lutto, affidata alla voce di un bambino.
Le fiabe non mentono: ci preparano alla vita (e alla morte)
Come spiega Silvana De Mari nel suo saggio “La realtà dell’orco”, queste fiabe parlano di morte, ma anche – e soprattutto – di speranza e trasformazione.
Sono racconti che ci insegnano a crescere, a lasciare andare, a comprendere il senso profondo del dolore come metafora dell’evoluzione interiore.
Perché solo chi attraversa simbolicamente la morte può davvero rinascere.
Laura Persico Pezzino
Quando le fiabe parlano di morte per raccontare la vita
Le fiabe non sono solo racconti per bambini.
Spesso celano verità profonde, archetipi universali e riflessioni esistenziali.
Tra i temi più ricorrenti – e meno compresi – c’è la morte.
Non quella reale e cruda, ma una morte simbolica, spirituale, iniziatica.
Quattro grandi storie, oggi entrate nell’immaginario collettivo, affrontano in modi diversi la morte di un bambino: Pinocchio, Alice, Peter Pan e Il Piccolo Principe.
Pinocchio: il burattino che muore per diventare bambino
Pinocchio è molto più di una favola morale sulla disobbedienza.
È la storia di un burattino che muore per poter nascere davvero.
Cresce senza un padre biologico, viene traviato da un Lucignolo (alter ego di Lucifero), finisce nel ventre di un pesce – come Giona – e infine si trasforma.
La morte del burattino è necessaria alla nascita del bambino: un’evoluzione spirituale, una rinascita.
Alice: la discesa negli inferi di una bambina smarrita
Alice cade.
Cade in un mondo sotterraneo, verticale, fuori dalle leggi della fisica.
Non ci sono regole, tutto si deforma, si espande, si contrae.
“Alice nel Paese delle Meraviglie” è un’Ade mascherato da sogno.
Una morte simbolica, una perdita dell’io per poi ritrovarsi.
Il viaggio nel mondo di Alice è una discesa agli inferi dell’inconscio, un ritorno alla vita con nuovi occhi.
Peter Pan: l’angelo dei bambini perduti
Peter Pan non cresce perché è morto.
È il bambino perduto, abbandonato da una madre distratta.
Nel primo capitolo del libro di Barrie si legge che quando i bambini muoiono, è lui ad accompagnarli nel primo tratto del cammino.
Peter Pan è l’angelo della morte, il custode dei piccoli spiriti smarriti.
I tre fratelli volano in camicia da notte: sono figure sospese tra la vita e l’aldilà.
Ma loro torneranno.
Il Piccolo Principe: la morte come ritorno all’essenziale
Nel caso del Piccolo Principe, le metafore si spogliano e resta solo la verità: muore.
Il serpente lo morde, lui cade e non si rialza.
Ma la sua morte è dolce, necessaria, piena di senso.
Pubblicato nel 1943, mentre Auschwitz era in piena attività, il libro porta un messaggio radicale:
se soffriamo, è perché abbiamo amato.
Il dolore della perdita è la misura della bellezza vissuta.
Una filosofia del lutto, affidata alla voce di un bambino.
Le fiabe non mentono: ci preparano alla vita (e alla morte)
Come spiega Silvana De Mari nel suo saggio “La realtà dell’orco”, queste fiabe parlano di morte, ma anche – e soprattutto – di speranza e trasformazione.
Sono racconti che ci insegnano a crescere, a lasciare andare, a comprendere il senso profondo del dolore come metafora dell’evoluzione interiore.
Perché solo chi attraversa simbolicamente la morte può davvero rinascere.
Laura Persico Pezzino


















































































