La “filosofia della morte” secondo Luciano De Crescenzo.

13 Giugno 2025 - 13:00--Cultura, Spazi di Riflessione-

La “filosofia della morte” secondo Luciano De Crescenzo: la morte vista da chi ama la vita.

Si può parlare della morte davanti ad un caffè, senza che vada di traverso?
Evidentemente per Luciano De Crescenzo, napoletano DOC si poteva eccome, in barba alla scaramanzia tipica partenopea.

De Crescenzo è stato – è stato perchè hanno richiesto la sua ironia ai piani alti il 18 luglio 2019 – un filosofo, scrittore, regista, autore e mente eccelsa, capace di condire anche l’argomento più scomodo con quell’umorismo sottile e pungente, proprio delle menti intelligenti e colte.

Erano la sua cifra stilistica le battute sagaci condite con quell’accento napoletano che permette anche alla più irriverente sfrontatezza di essere accettata.

Classe 1928 (18 agosto), ingegnere idraulico per studi, ci ha regalato, da fine conoscitore ed amante della filosofia greca, una grande quantità di libri in cui la filosofia smette di essere solo un giro di parole, per diventare un racconto alla portata di tutti, attraverso il quale ha saputo renderla facile e divertente.

L’umorismo come antidoto alla paura di morire

Da un vecchio documento video della trasmissione “Un caffè con Bellavista” 👉 link  – titolo che richiamava uno dei suoi lavori più famosi “Così parlò Bellavista” – abbiamo ascoltato la sua lettura semplice e bonariamente cinica sull’atteggiamento umano di fronte alla propria morte.

Senza scomodare grandi pensieri filosofici o struggente letteratura dell’abbandono, quel genio di De Crescenzo ci propone una semplice riflessione sul momento del trapasso.

Con ironia acuta ed elegante, dietro alla considerazione che alla morte ci si presenta in due modi, cioè c’è chi se ne va all’improvviso, senza accorgersene, lasciando nel dolore chi resta, contro chi passa anni di agonia e, quando se ne va, dona a chi lo ha accudito un sollievo, sùbito nascosto e giustificato da un “almeno ha smesso di soffrire”, De Crescenzo arriva alla conclusione che preferirebbe di gran lunga lasciare gli alti a soffrire, ma non accorgersi del proprio trapasso.

La “filosofia della morte” in un caffè con Bellavista

Lontano dal politically correct, interpreta un pensiero molto comune ma altrettanto inconfessabile, fatto di quel sano egoismo di chi sceglie di non soffrire, soprattutto prima di andarsene, con poco interesse per il dolore di chi resta.

Non che il dolore degli altri non ci interessi in senso assoluto, ma quando è controbilanciato dal nostro, forse ciascuno di noi sarebbe d’accordo con De Crescenzo; “vi lascio volentieri i fazzoletti ma fatemi andare in serenità”.

Nel dubbio, laddove potessimo scegliere in che modo andarcene, consiglierei di lasciare una bella lettera di saluto e consolazione, ed eventualmente disporre perché si organizzi una festa, come accade in molti paesi esteri.

In fin dei conti De Crescenzo disse: “La morte non mi riguarda. Se io ci sono, lei non c’è. Se lei c’è, io non ci sono. Dunque non è affar mio”.

Ironia della realtà.

E voi, che fareste potendo scegliere?

Giovanna Gay

Scopri qui chi è l’autrice di questo articolo

Chi volesse approfondire il pensiero di Luciano De Crescenzo consigliamo di visitare il sito https://lucianodecrescenzo.it/

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La “filosofia della morte” secondo Luciano De Crescenzo: la morte vista da chi ama la vita.

Si può parlare della morte davanti ad un caffè, senza che vada di traverso?
Evidentemente per Luciano De Crescenzo, napoletano DOC si poteva eccome, in barba alla scaramanzia tipica partenopea.

De Crescenzo è stato – è stato perchè hanno richiesto la sua ironia ai piani alti il 18 luglio 2019 – un filosofo, scrittore, regista, autore e mente eccelsa, capace di condire anche l’argomento più scomodo con quell’umorismo sottile e pungente, proprio delle menti intelligenti e colte.

Erano la sua cifra stilistica le battute sagaci condite con quell’accento napoletano che permette anche alla più irriverente sfrontatezza di essere accettata.

Classe 1928 (18 agosto), ingegnere idraulico per studi, ci ha regalato, da fine conoscitore ed amante della filosofia greca, una grande quantità di libri in cui la filosofia smette di essere solo un giro di parole, per diventare un racconto alla portata di tutti, attraverso il quale ha saputo renderla facile e divertente.

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Senza scomodare grandi pensieri filosofici o struggente letteratura dell’abbandono, quel genio di De Crescenzo ci propone una semplice riflessione sul momento del trapasso.

Con ironia acuta ed elegante, dietro alla considerazione che alla morte ci si presenta in due modi, cioè c’è chi se ne va all’improvviso, senza accorgersene, lasciando nel dolore chi resta, contro chi passa anni di agonia e, quando se ne va, dona a chi lo ha accudito un sollievo, sùbito nascosto e giustificato da un “almeno ha smesso di soffrire”, De Crescenzo arriva alla conclusione che preferirebbe di gran lunga lasciare gli alti a soffrire, ma non accorgersi del proprio trapasso.

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Lontano dal politically correct, interpreta un pensiero molto comune ma altrettanto inconfessabile, fatto di quel sano egoismo di chi sceglie di non soffrire, soprattutto prima di andarsene, con poco interesse per il dolore di chi resta.

Non che il dolore degli altri non ci interessi in senso assoluto, ma quando è controbilanciato dal nostro, forse ciascuno di noi sarebbe d’accordo con De Crescenzo; “vi lascio volentieri i fazzoletti ma fatemi andare in serenità”.

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