1° luglio 1876. Muore Michail Bakunin, il pensatore che accende il fuoco dell’anarchia.

Il 1° luglio 1876, Michail Bakunin muore a Berna, in Svizzera.
Ha 62 anni.
Il suo corpo è stanco, segnato dalla prigionia, dall’esilio, dalla lotta continua.
Ma la sua mente è ancora accesa.
Con lui scompare uno dei rivoluzionari più radicali e appassionati dell’Ottocento.
Un pensatore che non cerca troni, ma li abbatte.
Bakunin non scrive per costruire un sistema.
Scrive per liberare.
Le sue parole sono scintille, slogan, invettive.
È un uomo che vive in corsa, contro ogni autorità, in nome di una libertà che non si lascia definire.
Michail Bakunin tra pensiero e azione: una vita contro
Michail Bakunin nasce nel 1814 a Prjamuchino, nell’allora impero russo.
Cresce in una famiglia nobile ma illuminata.
Si forma come ufficiale, ma abbandona la carriera militare per inseguire la filosofia.
A Berlino si avvicina alla sinistra hegeliana.
A Parigi entra in contatto con Proudhon.
Ovunque si trovi, attira scontri, arresti, espulsioni.
Ma anche entusiasmi.
Bakunin vive per le idee, ma anche per l’azione.
È presente nei moti del 1848, a Dresda nel 1849, nelle barricate, nelle prigioni dello zar.
Passa otto anni in carcere, viene esiliato in Siberia, fugge in Giappone, arriva a Londra.
È una vita da romanzo.
Ma lui non cerca l’epica: cerca la rivoluzione.
Contrasta duramente Karl Marx.
Non crede nello Stato, nemmeno in quello “dei lavoratori”.
Per Bakunin, ogni potere corrompe.
Ogni struttura schiaccia.
L’unica strada è l’autogestione, l’azione diretta, il rifiuto totale dell’autorità.
L’ultimo respiro di un uomo libero
Quando muore, il 1° luglio 1876, Bakunin è ormai malato e isolato.
Ma la sua eredità circola.
Nelle piazze, nei manifesti, nei sogni di chi non si riconosce nei partiti.
Viene sepolto a Berna.
Il suo nome divide ancora.
Ma chi legge i suoi scritti avverte una cosa rara: la voce autentica di chi non ha mai smesso di credere nella libertà.
Il 1° luglio 1876, Michail Bakunin muore a Berna, in Svizzera.
Ha 62 anni.
Il suo corpo è stanco, segnato dalla prigionia, dall’esilio, dalla lotta continua.
Ma la sua mente è ancora accesa.
Con lui scompare uno dei rivoluzionari più radicali e appassionati dell’Ottocento.
Un pensatore che non cerca troni, ma li abbatte.
Bakunin non scrive per costruire un sistema.
Scrive per liberare.
Le sue parole sono scintille, slogan, invettive.
È un uomo che vive in corsa, contro ogni autorità, in nome di una libertà che non si lascia definire.
Michail Bakunin tra pensiero e azione: una vita contro
Michail Bakunin nasce nel 1814 a Prjamuchino, nell’allora impero russo.
Cresce in una famiglia nobile ma illuminata.
Si forma come ufficiale, ma abbandona la carriera militare per inseguire la filosofia.
A Berlino si avvicina alla sinistra hegeliana.
A Parigi entra in contatto con Proudhon.
Ovunque si trovi, attira scontri, arresti, espulsioni.
Ma anche entusiasmi.
Bakunin vive per le idee, ma anche per l’azione.
È presente nei moti del 1848, a Dresda nel 1849, nelle barricate, nelle prigioni dello zar.
Passa otto anni in carcere, viene esiliato in Siberia, fugge in Giappone, arriva a Londra.
È una vita da romanzo.
Ma lui non cerca l’epica: cerca la rivoluzione.
Contrasta duramente Karl Marx.
Non crede nello Stato, nemmeno in quello “dei lavoratori”.
Per Bakunin, ogni potere corrompe.
Ogni struttura schiaccia.
L’unica strada è l’autogestione, l’azione diretta, il rifiuto totale dell’autorità.
L’ultimo respiro di un uomo libero
Quando muore, il 1° luglio 1876, Bakunin è ormai malato e isolato.
Ma la sua eredità circola.
Nelle piazze, nei manifesti, nei sogni di chi non si riconosce nei partiti.
Viene sepolto a Berna.
Il suo nome divide ancora.
Ma chi legge i suoi scritti avverte una cosa rara: la voce autentica di chi non ha mai smesso di credere nella libertà.